Prendevano due euro e mezzo all’ora per raccogliere angurie, uva e pomodori. E alcune volte, finito il loro turno di 12 ore nelle campagne, erano costretti a dormire all’interno di container metallici o in ricoveri di fortuna in condizioni igieniche precarie. Funzionava così in diverse regioni, dal Veneto alla Sicilia passando per Puglia, Lazio, Basilicata e Calabria.
Alcuni dei titolari delle aziende e dei caporali che costringevano i braccianti a turni infernali per una paga da fame sono stati bloccati martedì mattina grazie alla seconda fase dell’operazione Alto Impatto-Freedom, condotta dalle squadre mobili di undici città sotto il coordinamento dello Sco. Dieci le persone arrestate, 24 quelle denunciate dopo aver accertato – sostengono le forze dell’ordine – l’inosservanza delle norme contributivo-previdenziali e di sicurezza sui luoghi di lavoro, oltre all’illecita attività di intermediazione tra domanda e offerta, il ‘caporalato’ appunto.
In particolare, in provincia di Ragusa sono stati arrestati 3 italiani, accusati di avere costretto alcuni braccianti a lavorare fino a 12 ore e retribuiti con 30 euro al giorno. Altre 9 persone, sempre nel Ragusano, sono state denunciate per lo stesso motivo. In provincia di Latina, invece, altre 3 persone – sempre italiane – sono state segnalate per sfruttamento: secondo la polizia, costringevano i braccianti a vivere all’interno di container in condizioni igieniche precarie.
A Matera i deferiti sono stati tre, mentre nelle provincie di Agrigento e Verona sono state sospese rispettivamente tre attività in tutto e sono state comminate contravvenzioni per 69mila e 25mila euro. Considerando la prima fase dell’operazione Alto Impatto-Freedom, sono state controllate in totale 867 persone e 76 aziende.