In un'altra sentenza, però, i giudici sanciscono che un richiedente asilo arrivato in un Paese ma che presenta la sua domanda in un altro Stato dell’ Ue può impugnare in giudizio la richiesta di ritrasferirlo nel Paese d’arrivo se questa non è presentata entro tre mesi. In più l’avvocato generale ha affermato che i ricorsi della Slovacchia e dell’Ungheria contro il meccanismo di ricollocazione obbligatoria vanno respinti
Non c’è crisi migratoria che tenga. Anche se i flussi sono imponenti, resta valido il regolamento di Dublino che impone di presentare la richiesta di asilo nel primo Paese Ue in cui il migrante mette piede. A sancirlo è stata la Corte Ue, in una sentenza che riguarda un contenzioso su un cittadino siriano e i membri di due famiglie afghane arrivati nel 2016 in Croazia, ma intenzionati a chiedere asilo a Vienna e in Slovenia.
Nonostante il carattere straordinario della crisi migratoria sulla rotta dei Balcani, secondo i giudici è Zagabria a dover “esaminare le domande di protezione internazionale delle persone che hanno attraversato in massa la sua frontiera nel 2015-2016”. “L’attraversamento della frontiera che abbia avuto luogo in occasione dell’arrivo di un numero eccezionalmente elevato di cittadini di Paesi non Ue intenzionati ad ottenere una protezione internazionale non è determinante” nell’esame delle richieste di asilo, che restano di competenza dello Stato di ingresso nell’Unione, scrive infatti la Corte.
In un’altra sentenza, però, l’istituzione che ha sede in Lussemburgo mette nero su bianco un principio che potrebbe rivelarsi prezioso per l’Italia: un richiedente asilo arrivato in un Paese ma che presenta la sua domanda in un altro Stato dell’ Ue può impugnare in giudizio la richiesta di ritrasferirlo nel Paese d’arrivo se questa non è presentata entro tre mesi, i termini previsti dallo stesso regolamento di Dublino. In questo caso la causa era stata intentata da un eritreo sbarcato in Italia e poi passato in Germania, dove ha chiesto asilo. Berlino ne aveva chiesto il trasferimento ma, appunto, solo dopo la scadenza dei tre mesi. La Corte ha accolto il parere dell’avvocato generale formulato lo scorso 20 giugno.
In più l’avvocato generale della Corte di giustizia europea ha affermato che i ricorsi della Slovacchia e dell’Ungheria contro il meccanismo provvisorio di ricollocazione obbligatoria di richiedenti asilo devono essere respinti ed è valida la decisione sul sistema di quote previsto dall’Ue. “Tale meccanismo contribuisce realmente e in modo proporzionato a far sì che la Grecia e l’Italia possano far fronte alle conseguenze della crisi migratoria del 2015”, si legge in un comunicato. Come risposta alla crisi migratoria che ha colpito l’Europa nell’estate 2015, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato un programma che prevede la ricollocazione di 120.000 migranti in evidente bisogno di protezione internazionale dall’Italia e dalla Grecia verso gli altri Stati membri dell’Unione. La Slovacchia e l’Ungheria, che, al pari della Repubblica ceca e della Romania, hanno votato contro l’adozione di tale decisione, hanno chiesto alla Corte di giustizia di annullarla perché sostenevano che il Consiglio non aveva la base giuridica necessaria per prenderla e perché non la ritenevano né idonea a rispondere alla crisi migratoria né necessaria a tal fine.
Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, la Polonia è intervenuta a sostegno della Slovacchia e dell’Ungheria, mentre il Belgio, la Germania, la Grecia, la Francia, l’Italia, il Lussemburgo, la Svezia e la Commissione sono intervenuti a sostegno del Consiglio. Nelle sue conclusioni odierne, l’avvocato generale Yves Bot propone alla Corte di respingere i ricorsi proposti dalla Slovacchia e dall’Ungheria, in quanto il trattato di Lisbona conferisce al Consiglio il potere di adottare misure temporanee in materia di asilo quando esiste una “situazione di emergenza chiaramente individuata”. Inoltre, ha rivelato Bot, la decisione ha stabilito solo una deroga temporanea dalle norme Ue e pertanto “non ha comportato alcun abuso della procedura legislativa ordinaria”.