Cordoglio per Filippo Sensi.
Il Fatto Quotidiano, ripreso da Dagospia, il sito che funge da certificatore ufficioso delle increspature nel cielo del potere romano, ha diffuso la notizia del benservito dato da Matteo Renzi al suo cardinal Mazzarino della comunicazione. Il Filippo Sensi multitasking, che da anni governava con piglio ecumenico e perfidie curiali lo spazio mediatico afferente al presunto golden boy di Rignano. Unica presenza extra toscana (oltre all’ascetico – e per questo sommamente infido – Graziano Del Rio) nell’entourage gigliato, che si era installato ai piani alti del Palazzo al seguito del LoRenzi il Magnifico.
Ora Filippo potrà misurare sulla propria pelle quanto sia precario e caduco il potere di chi ne sia stato delegato dalla benevolenza del potente; riflettendo su quanto questo favore sia volatile e capriccioso. Il segreto svelato da Pierre Corneille per cui «un servigio al disopra d’ogni ricompensa/ costringendo a troppa gratitudine diventa quasi un’offesa» (Suréna). Di cui ci si libera, magari richiamando al servizio sostitutivo il proprio portaborse nel comune di Firenze, tal Marco Agnoletti.
Così la notizia da cui sembrerebbe che il destino del Nostro sia dipeso da un capriccio dell’Altro.
Invece, stando alle notizie che mi sussurrano comuni amici, i termini della vicenda non stanno proprio così: ci sarebbe stato uno scazzo tra il sovrintendente della comunicazione renziana e il suo assistito, avente per oggetto l’operazione saggistica di quest’ultimo. In altre parole, la più che maldestra e autolesionistica autobiografia intitolata Avanti, in cui l’autore ha fatto esattamente l’opposto di quanto un consigliere non fraudolento (o servile) suggerirebbe: dimostrarsi capace di proporre visioni strategiche, esibire l’abito morale generoso che si confà a un leader, praticare la virtù della tolleranza aggregando tutte le risorse disponibili. Per cui perfino il Financial Times si prende la briga di rubricare l’iniziativa a “volgare regolamento di conti”, culminato nel “vile attacco” al suo predecessore Enrico Letta.
Insomma, l’ennesima bullaggine scriteriata che il narciso dedito ai pavoneggiamenti non intende sentirsi rinfacciare, soprattutto da chi conosce la materia come il Sensi; che va defenestrato per lesa maestà.
Ma anche il segnale palese che la caduta libera renziana non è destinata ad arrestarsi, ponendo fine a un’avventura che ha prodotto confusione e delusioni. Oltre che far perdere tempo – con quel suo mix di ballismo e vanagloriosa incompetenza – a un Paese ormai ridotto alla canna del gas.
Spiace, in ricordo di un’antica amicizia, sapere che il poliedrico e poligrafo Filippo attraversi una fase di eclisse. Ma forse – e questo è anche il mio personale auspicio – non tutto il male (occupazionale) viene per nuocere. Visto che sfuggendo all’abbraccio mortale dell’autocrate pasticcione si può recuperare la propria libertà di parola (nell’assunto che quella di pensiero non sia stata lesionata dalla frequentazione di carrieristi senza scrupoli, generone capitolino e varia fauna da regime).
L’auspicio è quello di ritrovare il Filippo Sensi della sua giovinezza, quando coltivava persino sulle pagine di MicroMega il pensiero anticonformista di Giuseppe Dossetti e ne tutelava il messaggio dagli attacchi dell’ambiguo Ernesto Galli della Loggia, già allora pericolosamente integrato nel mainstream revisionista proto-berlusconiano. Magari leggeremo una sua nuova difesa della Costituzione contro “il cambiamento per il cambiamento”. Quella vecchia risale al lontano novembre 1995 e si direbbe una straordinaria e accorata premonizione dei danni che in futuro la maldestraggine delle Marie Elene Boschi avrebbe provato ad arrecare ai fondamenti democratici del nostro Paese.
La lunghezza d’onda su cui avevano trovato modo di sintonizzare un cattolico atipico come Filippo e un liberale irregolare quale il sottoscritto.