Tu chiamale se vuoi, contaminazioni. Non sono contraria al genere. La cultura non deve essere una roccaforte accessibile a pochi. Ma vedere svilito il Museo Archeologico Nazionale di Napoli a discoteca l’ho trovato un pugno negli occhi. Sistemare una consolle con dj che spara musica a palla sul bellissimo scalone in marmo neoclassico si poteva evitare. Di fianco l’accesso alla mummie egiziane, dall’altro lato quella magnificenza de Il Toro Farnese e al piano di sopra i più preziosi mosaici provenienti dagli scavi di Pompei.

E come se mitragliassero decibel dentro il Colosseo e si facessero quattro salti nell’arena dei gladiatori. A vent’anni dalla morte di Gianni Versace il meritato omaggio allo stilista, che è stato un rivoluzionario del made in Italy, è stato in fondo un’astuta operazione di marketing dal titolo invitante: Magna Grecia Tribute.

E passi che nella Sala del Cielo Stellato la gonna plissè con l’iconografica medusa stampata color oro si trovasse nella stassa bacheca con una testolina in terracotta risalente al III secolo a.C. Mentre un abito lungo e avvolgente su un manichino divideva lo spazio di un’altra teca con un calice proveniente dall’ antica necropoli di Castel Capuano. E non dimentichiamoci di scarpe, borse, borsette e accessori versaceschi, tutti in buona compagnia di anfore, anforette, statuette di epoca pre-romana. Tutti esposti con la stessa cura con la quale la maison allestirebbe una vetrina di via Montenapoleone.

Se qualcuno volesse vedere il “negozio” di Versace al Museo Nazionale ha tempo fino al 20 settembre. Per rendervi conto che basta una “connessione” fra griffe e arte classica, seppur larvatissima, perché uno dei più importanti musei al mondo vi spalanchi le porte. A questo punto potevano direttamente “imbracare” una delle tante statue neoclassiche o ricoprire gli austeri pepli della matrone romane con svolazzanti e sgargianti vestiti Versace.

Solo questione di timing, il ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini l’indomani dell’inaugurazione modaiola riportava a casa, lui personalmente al Museo Archeologico, la statuetta di Zeus, un gioellino di 74 centimetri datata intorno al 100 a.C. trafugata dai mariuoli nel ’80 e finita al Paul Getty Museum di Los Angeles. Cosa dite in tempo per metterla in mostra dentro un decolletè Versace?

Di ben altra contaminazione parlano i corpi di Ohad Naharin, il gigante israeliano della danza, il filosofo del movimento e inventore del metodo Gaga, così chiamato per evocare i primi suoni del neonato. A lui è servito anche per comunicare con il fratello gemello affetto da autismo. E che gioia quando i ballerini sono scesi tra il pubblico del Festival di Ravello per invitare i prescelti a scatenarsi con loro sul palco in totale libertà. Tutti saremmo voluti essere su quel palcoscenico. Contaminazione ma da pelle d’oca, per il Pink Floyd Ballet messo in scena dal Teatro San Carlo per la “Soirée Roland Petit”. Musica psichedelica, intrecci di corpi “cristallizzati”, effetti caleidoscopici per portarci sul “The Dark side of the moon”, l’album di strasuccesso dei Pink Floyd che nel 1973 si esibirono sullo stesso palco di Petit. Un grande!

Twitter @januariapiromal

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