Sono lì ancora oggi e alcuni hanno fatto pure carriera, dal nipote di Formigoni al biografo di Don Giussani. Sono i 31 protagonisti di un vero e proprio “assalto alla dirigenza” assunti con incarico da dirigente a tempo indeterminato nel 2007 grazie a un concorso mai pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e per questo annullato tre anni dopo in via definitiva. E tuttavia conservano ancora oggi grandi scrivanie e lauti compensi cui non avevano diritto. La loro permanenza in servizio ad oggi è costata 30 milioni di euro ed uno dei pochi frutti tangibili dell’impalpabile interessenza tra potere ciellino e politica in Lombardia, dove la stessa Regione è stata trasformata per anni in ufficio privato di collocamento a beneficio di professionisti in quota parenti o in orbita a Comunione e Liberazione, l’anomalia di sistema a cavallo tra lobby e fede che nel formigonismo ha dispiegato tutto il suo potere, sbaragliando le residue resistenze e permeando ogni ambito pubblico, fin dentro la “macchina” della Regione.

Il conto è aperto dal 2006, l’anno del famoso concorso per 31 dirigenti bandito da Regione Lombardia e annullato da Tar (2008) e Consiglio di Stato (2009) perché mai pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ma solo su bollettino regionale. Un’anomalia ricordata solo poche settimane fa nella sentenza della Corte dei Conti che ha condannato Formigoni e la sua giunta per un incarico d’avvocato conferito illegittimamente, avendone 17 a disposizione. La sentenza menziona quei dirigenti ancora tutti lì perché nei loro confronti l’ente non ha mai esercitato la clausola di interruzione consensuale del rapporto che pure avevano firmato insieme al contratto in attesa degli esiti dei ricorsi. Del resto la resistenza dell’ente nei vari gradi di giudizio fa il paio col peccato originale che li motivò: l’omessa pubblicazione sulla Gazzetta, raccontano le cronache del tempo, era funzionale ad assicurare alcuni posti-chiave del sistema di Regione Lombardia a candidati in quota CL, così da rafforzare la presa sull’apparato burocratico e sulla “macchina” che muove ogni anno qualcosa come 25 miliardi di euro (17-18 in sanità) che veicola direttamente o tramite società in house (Finlombarda, Infrastrutture lombare, Arca, Asam etc). Dunque, che fine hanno fatto?

Regione Lombardia che ancora oggi li stipendia non ha particolari remore a trasmettere l’elenco dei 31 vincitori, con l’indicazione dell’incarico ricoperto e del compenso che gli viene versato (scarica il file). Del resto la giunta Maroni non c’entra con quella frittata che è stata – anche in termini di immagine – un parziale danno. “I contratti non sono stati interrotti”, conferma al fattoquotidiano.it una nota “anche perché la sentenza della Corte non interviene su questo aspetto e la valenza giuridica dei contratti di lavoro “operativi” ormai da tempo era molto radicata. In caso di rescissione dei contratti (ammesso di superare ricorsi al giudice del lavoro) la Giunta si sarebbe trovata senza il 25% dei dirigenti necessari a ricoprire gli incarichi”. Anche perché, aggiungiamo noi, chi invece la frittata la fece riuscì poi a rigirarla con una leggina regionale ad hoc che modificava gli obblighi di pubblicazione in modo retroattivo. L’espediente è servito solo in parte a sollevare la giunta Formigoni dagli addebiti (per fatti ormai largamente prescritti) ma ha assicurato il posto in Paradiso a parenti e amici di CL che sono anche cresciuti in termini di carriera.

Così è successo a uno dei pezzi grossi. Michele Camisasca, nipote dell’attuale vescovo di Reggio Emilia e Guastalla, Massimo Camisasca, biografo del fondatore di Cl, don Giussani ha vinto il concorso ed è stato messo alla direzione del personale con 185mila euro di stipendio trovandosi poi in un peculiare conflitto di interessi nei panni dell’assunto con quel concorso – subito ipotecato dai ricorsi – e di direttore del personale che avrebbe potuto esercitare la clausola di rescissione dei rapporti in essere fatta sottoscrivere a tutti i dirigenti (lui compreso) in caso di annullamento, ma tant’è: non ha mandato a casa se stesso né gli altri, e oggi è il direttore generale di Arpa Lombardiaaltra società pubblica finita nel mirino della Corte dei Conti che a febbraio ha chiesto un milione di euro agli ex vertici per “incarichi da dirigente a chi non aveva i requisiti”. Con  un compenso da 172.192 euro.

Promozioni anche per Marco Carabelli, già vice del  Segretario generale Nicola Maria Sanese che il 18 giugno 2007 firmò materialmente l’immissione in servizio dei candidati in graduatoria e per questo condannato, insieme a Formigoni, a rifondere parte dei 46mila euro di costo del concorso annullato. Carabelli nel frattempo è stato posto in “assegnazione temporanea” ad Areaexpo, la società a capitale pubblico partecipata tra gli altri da Mef (39%) e Regione Lombardia (21,05%) per acquisire le aree Expo e oggi per trasformarle in parco scientifico. Ne è diventato il direttore generale, con compenso pari a 180mila euro (più 50 di variabile).

Nell’elenco c’è poi Giacomo Boscagli, figlio dell’ex assessore regionale Giulio Boscagli, cognato di Formigoni. Si occupava di contabilità della giunta. Due anni dopo è già direttore finanze della Fiera Milano International Spa, dal maggio del 2010 è paracadutato come direttore all’Istituto dei tumori con compiti di controllo di gestione. Un altro ciellino, Franco Milani, anche lui entra in Regione nel luglio 2007 e viene messo alla Direzione generale Sanità dove si occupava di accreditamento e controlli. Settore quanto mai delicato dal quale esce, quattro anni dopo, per occuparsi di politiche del personale. Con uno stipendio, dice la tabella della Regione, di 90.754 euro.

Amaro il commento di quel dirigente “senza sponsor” che a suon di denunce nel maggio 2006 scoperchiò il pentolone che porterà ad acclarare l’illegittimità del concorso e a condanne che ”non fanno giustizia”. “Li volete mantenere, manteneteli” dice oggi al fattoquotidiano.it l’ingegnere Giuseppe Di Domenico, risultato poi vincitore di un secondo concorso ma per un solo posto da dirigente di fascia C (la più bassa) e non per la giunta come avrebbe voluto “perché i 31 posti erano occupati da quei professionisti assunti senza titolo che però restano ancora lì, a percepire alti compensi cui non hanno diritto”. Mentre lui che ha lottato e speso un sacco di soldi in questi anni (oltre 40mila euro, dice) per ripristinare la legalità nelle assunzioni pubbliche è confinato in un’agenzia regionale senza grandi prospettive di carriera. “Le loro, illegittime e tuttavia folgoranti, sono avvenute a detrimento di altri e gli consentono anche di guadagnare mediamente 20mila euro l’anno più di me”. Non è solo una questione personale. “Ancora spero che la Procura, che dal 2012 ha aperto un fascicolo penale sul quale pende una richiesta di archiviazione cui mi sono opposto, non si fermi al danno erariale e ai reati ormai prescritti ma accerti quello permanente e collettivo derivante dal non aver garantito la selezione delle migliori competenze nei servizi della pubblica amministrazione. Qui il reato è continuativo, si consuma anche in questo momento”.

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