È qualche cosa, ma è ancora poco: si dovesse riassumere in una frase, la reazione dei sindaci del cratere sismico del Centro Italia, ci si potrebbe limitare a questa. “Un segnale importante, certo, ma non è che un primo passo”, commenta a caldo Sergio Pirozzi, primo cittadino di Amatrice, che aggiunge: “È la dimostrazione, quantomeno, che anche a Roma hanno forse capito che è il caso di darsi una mossa”. Il segnale sono i 100 milioni che vengono stanziati in favore delle zone terremotate grazie ad un emendamento inserito nel decreto legge per il Mezzogiorno, appena approvato dal Senato (ora passerà alla Camera, per esser licenziato prima della pausa estiva) con 154 Sì e 117 No. Cento milioni, a valere sul fondo europeo, destinati alla rimozione delle macerie. Questione quanto mai urgente, e quanto mai drammatica. “Anche perché – prosegue Pirozzi – dopo 11 mesi, abbiamo rimosso appena il 10% del totale delle macerie e abbiamo già accumulato un ritardo di almeno 60 giorni sulla tabella di marcia”.
Situazione che non riguarda solo Amatrice, né solo i territori terremotati del Lazio. A Tolentino, uno dei più grandi Comuni marchigiani distrutti dal sisma del 2016, coi suoi 5mila sfollati, il sindaco Giuseppe Pezzanesi è ancora più scettico. E parla di una “situazione stagnante, che non potrà certo essere sbloccata con finanziamenti una tantum”. E siccome, dice, “il diavolo sta nei dettagli”, Pezzanesi sottolinea una coincidenza. “Sarà un caso, ma nello stesso giorno in cui si approva la fiducia a questo decreto al Senato si discute anche del salvataggio delle Banche Venete”. Per il quale lo Stato, sotto diverse forme, ha messo a disposizione 17 miliardi di euro. “Appunto. Io mi chiedo? La ricostruzione non è una priorità almeno quanto lo è lo scudo per 2 istituti di credito dissestati? E allora la differenza degli stanziamenti è stridente. Qui è inutile andare avanti a botte di pochi milioni per volta. Qui o si mettono sul tavolo miliardi veri, oppure tutto resta al palo”.
Anche Pezzanesi, comunque, conferma che i 100 milioni previsti dal dl Mezzogiorno sono una “boccata d’ossigeno”. Quei soldi servono e subito, per aprire nuovi cantieri e per avviare la ricostruzione. Fino ad oggi, in molti Comuni, i sindaci indugiavano non poco prima di abbattere edifici pericolanti, visto che poi non si aveva la liquidità necessaria per pagare lo sgombero dei calcinacci. Ecco perché, anche se non si tratta di miliardi, quella di oggi è una buona notizia.
Del resto anche le popolazioni locali cominciano ad essere esasperate da questo immobilismo. E cominciano a protestare in modo plateale. È accaduto l’8 luglio, ad esempio, quando un centinaio di abitanti di Accumoli, ancora sfollati, ha bloccato per circa 3 ore la via Salaria all’altezza di Grisciano. “Ma noi amministratori locali – va ripetendo il sindaco Stefano Petrucci – possiamo fare ben poco sulla questione delle macerie. Che è di stretta competenza della Regione”.
E la Regione, che nella fattispecie è quella del Lazio, proprio nei giorni in cui si è inasprita la protesta ha annunciato l’avvio della “seconda fase” nella rimozione dei detriti. La prima era consistita nello sgombero delle aree pubbliche principali: 93mila tonnellate di pietre e calcinacci portati via, con un dispendio di 5,4 milioni. Il 7 luglio è stata invece aggiudicata una gara per 400mila euro: e i nuovi lavori sono partiti da metà mese. “Ma si tratta ancora di misure tampone, che non bastano certo a segnare un cambio di marcia”, critica Petrucci.
L’attesa, infatti, è per l’altra gara, quella da 10 milioni di euro, attesa da molti come il momento della verità. Dopo uno stallo durato ben oltre le previsioni, ha ottenuto il parere favorevole dell’Anac. “Ora che il bando è stato pubblicato, speriamo che si proceda spediti, finalmente”, si augura Pirozzi. Che poi rilancia: “Comunque, non si può dover aspettare un mese perché si avvii una nuova gara d’appalto. Tra giugno e luglio siamo praticamente rimasti fermi sul fronte macerie, nell’attesa che il bando venisse messo a punto e l’Anac si pronunciasse. Speravamo quantomeno in una proroga della gara precedente: e invece nulla”.
A complicare la situazione, poi, ci si è messo anche l’accumulo di leggi. “All’inizio – spiega il sindaco di Accumoli Petrucci – alle amministrazioni competeva solo la rimozione delle macerie sulle strade e nelle piazze. Le nuove norme hanno stabilito invece che anche i privati potessero, tramite una apposita procedura, delegare al pubblico lo sgombero di detriti e calcinacci dalle proprie abitazioni. E questo ha creato confusione: ci ha costretti a rallentare tutto e fare nuove stime, nuovi piani”.
Ma, come si diceva, questo scenario non caratterizza solo le zone laziali del cratere sismico. Per capirlo, basta spostarsi di pochi chilometri lungo la Salaria e oltrepassare il confine con le Marche. Ad Arquata del Tronto, comune nell’Ascolano raso al suolo dal terremoto del 24 agosto scorso, ci sono ancora 500mila tonnellate di macerie per strada. Il sindaco, Aleandro Petrucci, è sconsolato: “Intere zone delle nostre frazioni restano inaccessibili. Non si possono fare né perizie né puntellamenti: e di questo passo, la ricostruzione vera e propria non partirà mai. L’ho detto anche al governatore Luca Ceriscioli”.
Il quale, il 24 luglio, si è fatto sentire. Ma per annunciare che si è raggiunta la soglia delle 100mila tonnellate rimosse, sul territorio regionale. “Con i lavori di rimozione e separazione anche di notte sono aumentate notevolmente le quantità raccolte in un solo giorno: circa 2.000 tonnellate”, ha dichiarato Ceriscioli, per poi precisare: “Le attività sono entrate a regime da diversi mesi”. Il sindaco di Tolentino non ne è molto convinto. “Se ci riferiamo alla rimozione vera e propria, direi proprio che dall’entrata a regime siamo ancora lontani”.
C’è stato poi l’altro annuncio di Ceriscioli, quello che riguarda i cronoprogrammi. “Li stiamo attendendo: i singoli Comuni li stileranno con gli enti di riferimento”. La scadenza era fissata per il 26 luglio, e i documenti fin qui redatti non sono molto incoraggianti. A Castelsantangelo sul Nera, ad esempio, 300 abitanti in provincia di Macerata, la conclusione dei lavori per la rimozione delle macerie è stata fissata a novembre 2018. Lo conferma il sindaco Mauro Falcucci, che parla di “100mila tonnellate di detriti stimati, di cui finora stato rimosso appena il 10%”.