I vitalizi dei parlamentari forse cambieranno. La riduzione prevista dalla legge approvata dalla Camera dovrà passare al vaglio del Senato il quale non è detto che seguirà la decisione presa a Montecitorio. Grande dibattito politico e sulla stampa se la mossa renziana, spinta però dalla pressione M5S, sia un regalo all’antipolitica, l’anticamera del suicidio dei partiti, così come avvenne nel 1993, o invece un’occasione di rigenerazione.
A chi scrive viene in mente però che una tale discussione fu rimossa automaticamente dieci anni fa quando il tema della “casta” già era stato posto e quando erano evidenti lo scollamento e la sfiducia tra ceto politico ed elettori. Per quello nel 2007, qualche mese prima del VaffaDay grillino dell’8 settembre, avevo presentato alla Camera il progetto di legge che si può leggere integralmente qui.
La sostanza era semplice: dimezzamento della retribuzione dei parlamentari, abolizione dell’assistente parlamentare pagato dal parlamentare stesso, ma soprattutto fine dei vitalizi. Nell’unico modo coerente per recuperare un rapporto tra rappresentanti e rappresentati: equiparare le regole per il pensionamento dei parlamentari a quelle di tutti gli altri. Il sistema sarebbe stato cristallino: gli anni di mandato elettivo avrebbero contribuito ad alimentare i contributi versati nelle casse previdenziali di appartenenza e si sarebbero sommati a quelli della propria carriera lavorativa. Se non si avessero gestioni previdenziali in essere si sarebbero versati i contributi nella gestione separata Inps dove già confluiscono, ad esempio, i contributi dei lavoratori precari. In questo modo, in realtà, ai deputati e senatori sarebbe rimasto ancora il privilegio di un periodo contributivo “ricco” in virtù della retribuzione ottenuta dal mandato parlamentare che, però, quel progetto di legge riportava a un ammontare cospicuo ma coerente con lo status: circa 5000 euro al mese contro i 14.000 odierni.
Inutile dire che quel progetto non fu nemmeno valutato dal Parlamento di allora. Che, tra una spedizione in Afghanistan e un Lingotto democratico non si accorgeva del cataclisma politico alle porte. Come detto, il VaffaDay di Grillo era imminente, gli scontri interni al centrosinistra contribuivano a decretarne il fallimento e la sinistra di allora, ergendo il suo rappresentante a presidente della Camera, si prestava a divenire bersaglio di un rancore popolare e sociale da cui non si è mai ripresa (e mai si riprenderà visto il livello del dibattito che propone).
Chi oggi parla di ricostruzione del centrosinistra e di nuovo spirito dell’Ulivo dovrebbe ricordare come e perché quel centrosinistra è stato seppellito dalle urne e dalla storia. E se, a quel tempo, si fosse prestato ascolto a chi chiedeva di ricostruire una connessione tra la classe politica e il popolo e di restituire alla politica stessa un po’ di quello “spirito protestante” non riconducibile certo a una ideologia massimalista o di sinistra, le cose, forse, sarebbero andate diversamente. E oggi non saremmo a dover applaudire una legge sui vitalizi che, incapace di andare al fondo del problema – equiparare cioè la vita parlamentare con il resto della vita lavorativa – introduce il precedente pericoloso di una revisione previdenziale a carattere retroattivo. Quanto scommettete che prima o poi ce la faranno pagare applicandola anche a noi?