Il ministro dello Sviluppo: "Non ci muoviamo di un millimetro, non accettiamo il 50%". No alle barricate contro i francesi di Vivendi che ora controllano l'ex monopolista delle tlc. Il che, però, non significa che il ministro sia contrario allo scorporo della rete in rame del gruppo. Financial Times: "Tradimento per Roma"
Alla “fesseria” fatta da Parigi, che ha nazionalizzato “temporaneamente” i cantieri navali Stx per evitare che l’italiana Fincantieri ne acquisisse la maggioranza, non si può rispondere con “una fesseria più grossa, ovvero nazionalizzando la Telecom“. Parola del ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, che è tornato a parlare delle risposte da mettere in campo dopo lo “sgarbo” francese. “Non c’è verso che noi accettiamo il 50%, c’è una questione di rispetto e di dignità“, ha ribadito il titolare di via XX Settembre. “Quindi abbiamo detto ai francesi: signori, volete nazionalizzare? E’ nei vostri poteri ma noi non ci muoviamo e non ci muoveremo di un millimetro“. Ma “a quella fesseria non si risponde con una fesseria più grossa, ovvero nazionalizzando la Telecom“.
Niente barricate contro i francesi di Vivendi che ora controllano l’ex monopolista delle tlc, dunque. Il che, però, non significa che il ministro sia contrario allo scorporo della rete in rame del gruppo. Rete che rappresenta la maggiore garanzia per il maxi debito del gruppo ora guidato ad interim da Arnauld de Puyfontain e Amos Genish dopo l’uscita di Flavio Cattaneo, entrato in rotta di collisione con il governo sui piani di investimento nella banda ultralarga. Idea, questa, che Calenda al contrario condivide. Si vedrà se la soluzione sarà nei termini proposti dal presidente del Partito Democratico Matteo Orfini in un articolo uscito su Left Wing e ripreso dall’organo renziano Democratica.
“Se un paese importante come la Francia afferma in modo così netto il diritto a un intervento politico e governativo di questa portata e impatto, è del tutto evidente che si crea un precedente difficilmente ignorabile”, scriveva Orfini. E “se il principio vale per i cantieri francesi, come non considerare la rete telefonica italiana – che non è solo una infrastruttura di comunicazione ma anche e soprattutto di inclusione sociale, servizio universale e sicurezza – strategica per il nostro paese? E dunque perché non adoperarsi da subito per il ritorno di quelle infrastrutture sotto controllo e proprietà pubbliche, nel rispetto della piena concorrenza e non discriminazione sul piano dei servizi e dell’accesso alle infrastrutture?”.
Sabato anche il Financial Times, in un articolo dedicato alla vicenda, scrive che “la nazionalizzazione di Stx accresce il senso di tradimento a Roma” e “mentre il presidente francese ha tutto il diritto di nazionalizzare i cantieri Stx, farebbe bene a mostrare una maggiore sensibilità verso Roma per altri aspetti”. L’elezione di Macron “è stata accolta in tutta Europa come una vittoria sul populismo e come un’occasione per dare nuovo respiro al progetto europeo. In nessun posto queste speranze si sentivano come a Roma, dove un governo minacciato dall’euroscettico Movimento Cinquestelle guardava al presidente francese per la solidarietà nella gestione dei migranti e per il sostegno contro i falchi nell’eurozona sulle politiche fiscali. Due mesi dopo un senso di tradimento è evidente”, scrive l’Ft, ricordando anche il “tentativo unilaterale per mediare la pace in Libia”.
“Io non penso che l’Europa sia in crisi, penso che sia l’Occidente ad essere in crisi”, ha spiegato poi Calenda. “Non mi preoccupa il rifiuto dei Fiscal Compact ma il rifiuto dei vaccini, del commercio è l’idea che si è fatta largo che le società di cento anni fa fossero meglio di queste. Oggi si è andata ad affermare la negazione di tutto ciò che il progresso ha fatto. Questa non è una battaglia per l’Europa ma per la modernità, su cosa vuol dire essere moderni oggi”. “Se l’Italia ha un futuro, è quello di fare il percorso della Germania, facendo passare il grado dell’integrazione della propria economia dal 30% al 50%. Va costruita una politica dell’offerta, con degli investimenti“.
Parlando del governo Renzi, il ministro ha detto che “ha fatto un ottimo lavoro ma un governo deve essere in grado di dire: queste cose non hanno funzionato, abbiamo sbagliato”. Invece “ci siamo fatti male non per le cose fatte ma perché abbiamo cominciato a dire “è fatta, non c’è problema”. E non era così perché dal 2007 al 2014 l’Italia ha sofferto più di tutti” gli altri Paesi. Non si può prendere il consenso con una misura, ma lo si fa con un’idea. E chi non lo farà si farà male perché la gente non ci crede più al fatto che esista una scorciatoia“. Scorciatoie è la definizione che il ministro anche nei mesi scorsi aveva dato dei bonus renziani.