Tra le auto elettriche ed il nostro Paese la scintilla proprio non scocca. Quelle immatricolate lo scorso anno sono state appena 1.373, ovvero lo 0,1% del totale, nonostante da più parti se ne invochi l’utilizzo su larga scala per evitare di scaricare troppi veleni nell’aria. E qui si potrebbe aprire il capitolo su come venga prodotta l’energia che le alimenta, se sia rinnovabile o meno. Ma se n’è già detto e scritto, dunque veniamo alla notizia del giorno: gran parte del parco auto della Pubblica Amministrazione potrebbe essere formato da auto a batteria a partire dal 2020.

La testa di ponte per la diffusione di vetture elettriche, che finora le case costruttrici hanno cercato invano nell’utenza privata, sarà dunque lo Stato. La svolta ecologica è sancita da una proposta di legge presentata dal deputato Gian Luigi Gigli (Ds-Cd), che ne è anche il relatore, attualmente in esame alla commissione Affari Costituzionali della Camera.

Tale proposta prevede che sette vetture su dieci acquistate dalla Pubblica Amministrazione a partire dal 2020 siano a emissioni zero, dunque elettriche. Originariamente il testo prevedeva che ad andare a batteria dovesse essere la totalità dei suddetti veicoli, ma per agevolare l’approvazione sono stati presentati dieci emendamenti in Commissione, a cui si aggiungeranno modifiche fatte dallo stesso Gigli. Rimarranno dunque fuori dal lotto le ambulanze, le vetture usate dai Carabinieri e dai reparti dell’area tecnico operativa del Ministero della Difesa. I mezzi militari, per intenderci. “Ho preferito accettare alcune richieste di modifica piuttosto che rischiare di vedere la proposta naufragare“, ha dichiarato il relatore, aggiungendo anche che la soglia del 70% di veicoli elettrici si è resa necessaria anche per “evitare una procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea”.

Il “naufragio” tanto temuto potrebbe in realtà essere causato, più avanti, dagli stessi ostacoli che si sono presentati alla diffusione della mobilità elettrica tra i privati: costi elevati e mancanza di infrastrutture. Secondo i dati in possesso del centro studi della Camera, attualmente in Italia ci sono 4 mila punti di ricarica, realizzati per il 50% su iniziativa privata. La proposta di legge ha pensato anche a questo, proponendo un fondo dedicato di due milioni di euro presso il Ministero dei Trasporti, per impolpare la rete infrastrutturale di ricarica italiana.

Basterà? Difficile dirlo. Intanto gli emendamenti alla proposta di legge potrebbero essere votati prima della pausa estiva, mentre subito dopo (a settembre) potrebbe arrivare il via libera in sede legislativa. Con notevole risparmio di tempo, cosa non abituale per la politica.

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