Seicento milioni per strappare il fuoriclasse al Barcellona. Una dimostrazione di forza destinata a trasformare il calciomercato, ma che non ha (solo) ragioni sportive. Con O'Ney il Qatar alimenta una strategia di soft power per uscire dall'impasse geopolitica: tra grandi magazzini, multinazionali, banche e moschee in Italia
Lo hanno già ribattezzato il trasferimento del secolo. Il passaggio di Neymar Jr. dal Barcellona al Paris Saint-Germain sembra ormai cosa fatta, con il calciatore che ha già annunciato il suo addio ai compagni di spogliatoio blaugrana. Un’operazione da far impallidire chi, pochi anni fa, aveva usato epiteti simili per gli acquisti di Gareth Bale e Paul Pogba da parte, rispettivamente, di Real Madrid e Manchester United. “Solo” 100 milioni di euro che sembrano spiccioli rispetto all’affare che coinvolge il talento brasiliano: 222 milioni di clausola rescissoria ai quali ne vanno aggiunti circa 80 di tasse per il fisco spagnolo e 300 lordi per il contratto del calciatore. Un affare da 600 milioni di euro.
E dietro a operazioni di questa portata non poteva che esserci una proprietà come quella del club della capitale francese. Nasser Al-Khelaïfi, presidente della squadra parigina e a capo della Qatar Sports Investments che ne detiene il 100%, ha fortemente voluto questo acquisto, tanto da sfidare chi lo accusa di aver “drogato” il mercato aggirando le regole del fair play finanziario. Per superare le recenti imposizioni volute dalla Uefa che hanno l’obiettivo di garantire la sostenibilità e l’autofinanziamento delle squadre di calcio europee, il club parigino, la cui proprietà è legata al fondo sovrano Qatar Investment Authority, avrebbe deciso di sfruttare l’immagine di Neymar come simbolo dei Mondiali di calcio che si terranno proprio nell’emirato del Golfo nel 2022: la presidenza verserebbe quindi 300 milioni direttamente al giocatore come compenso per aver accettato il ruolo di testimonial della manifestazione e sarà direttamente O’Ney a girare la cifra nelle casse del club spagnolo, comprando di fatto il proprio cartellino.
Un’operazione del genere, con Neymar che, ormai da anni in odore di Pallone d’Oro, diventerà in un colpo solo il giocatore più pagato della storia e il testimonial del più importante evento calcistico al mondo, darà enorme visibilità non solo al talento brasiliano, ma anche al suo club e, quindi, ai reali del Qatar. La famiglia al-Thani, i reali del piccolo e ricchissimo Stato del Golfo Persico, porterebbe a termine così un’operazione di soft power che rappresenterebbe anche una risposta al recente isolamento forzato dell’emirato voluto da quello che è ormai diventato uno dei suoi competitor nell’area: l’Arabia Saudita. A giugno Riyad, appoggiata da Egitto, Emirati Arabi, Bahrein e Yemen, ha chiuso i rapporti diplomatici e la frontiera con Doha, adducendo motivazioni legate al supporto al terrorismo internazionale.
In realtà, i punti di scontro tra le due potenze vanno ricercati soprattutto nel mancato allineamento degli al-Thani alle politiche degli al-Saud, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con l’Iran, e l’ospitalità offerta dal Qatar ai membri dei Fratelli Musulmani in fuga dalla repressione di Abd al-Fattāḥ al-Sīsī, in Egitto. Con quest’ultima operazione, il Qatar sembra voler mettere in chiaro la sua posizione: il Paese e la famiglia reale sono ancora forti, portano a termine l’acquisto più oneroso della storia del calcio e ospiteranno i Mondiali 2022 mettendo in vetrina proprio il loro “gioiello” più prezioso.
Ma di “conquiste silenziose” come questa, in Europa, la famiglia al-Thani ne sta portando avanti molte da anni e in tutti i settori. Il fondo d’investimento che fa capo agli emiri di Doha detiene quote e fa parte dei consigli di amministrazione di banche, multinazionali, club sportivi, hotel di lusso, compagnie aeree, finanzia opere di beneficenza e la costruzione di moschee. Per fare qualche esempio, la Qatar Investment Authority, proprietaria del Psg attraverso il Qatar Sports Investments, detiene quote di Barclays, Credit Suisse e del London Stock Exchange, è proprietaria dei grandi magazzini Harrods e di quote in multinazionali come Volkswagen, Airbus, Sainsbury’s.
La soft power strategy dei reali di Doha coinvolge da anni anche l’Italia. Con la Katara Hospitality, sempre legata alla Qatar Investment Authority, l’emirato ha acquistato numerosi hotel di lusso nelle principali città italiane, come il Gallia di Milano o il Westin Excelsior di Roma, e in Costa Smeralda, dove il fondo sovrano ha rilevato la Smeralda Holding, proprietaria di numerose strutture, tra cui il famosissimo Hotel Cala di Volpe. Per essere sicuri di poter gestire i trasferimenti da e per la Sardegna, poi, Qia ha messo gli occhi sulla compagnia Meridiana, con un closing atteso a breve e rallentato proprio dalla crisi diplomatica con l’Arabia Saudita.
I soldi degli al-Thani nel Belpaese, però, arrivano anche attraverso opere filantropiche. La Qatar Charity, formalmente organizzazione non governativa ma strettamente legata a membri della famiglia reale, sta finanziando 43 nuove moschee e centri islamici in Italia, per un esborso totale da 25 milioni di euro. Ne sono un esempio le moschee di Ravenna, Colle Val D’Elsa, Saronno e Centocelle.
Twitter: @GianniRosini