Da precursori della moda a prezzi accessibili a signori delle concessioni autostradali in Europa con 14mila chilometri di strade a pedaggio. Non c’è dubbio: l’offerta di Atlantia su Abertis, a cui mercoledì si è aggiunto un tassello con il via libera dei soci al necessario aumento di capitale, è l’ultimo atto della metamorfosi dell’impero Benetton. Il cambiamento del gruppo tessile, fondato nel 1965 dai fratelli Luciano, Gilberto, Giuliana e Carlo Benetton, è infatti iniziato da tempo attorno alla controllata Atlantia. Ma si completa ora con un’operazione da 16 miliardi possibile grazie alla capacità dei soci di “guardare lontano”, come ha sostenuto l’ad di Atlantia Giovanni Castellucci. Non si può del resto negare che i Benetton siano stati lungimiranti. Prima hanno creato un grande gruppo di abbigliamento. Poi hanno reinvestito i profitti della moda in settori a reddito certo come autostrade e aeroporti, mettendo in un angolo l’antica arte manifatturiera che fece la fortuna del Veneto.
Del passato, nella cassaforte Edizione restano ancora i ristoranti Autogrill e i negozi di abbigliamento che però sono poca cosa rispetto alle infrastrutture. Senza contare che la moda è ormai un gigante dai piedi d’argilla, soffocato dalla concorrenza internazionale di giganti come la spagnola Inditex, casa madre del marchio Zara. L’ultimo bilancio disponibile di Edizione (2015) parla chiaro: racconta un mondo ben diverso dallo United Colors of Benetton, consacrato agli inizi degli anni ‘80 dalle immagini di Oliviero Toscani. Nel portafoglio della cassaforte spicca il 30% di Atlantia che vale ben 6 miliardi pari al 61% del valore degli investimenti. Il 50% di Autogrill pesa invece per l’11% (1,1 miliardi), mentre il 100% di Benetton vale 939 milioni, una cifra pari al 10% del totale investito.
E pensare che, fino alla fine degli anni ‘80, la cassaforte dei quattro fratelli Benetton è ancora tutta concentrata sull’Italia e sulle attività della moda. Per far crescere l’azienda, nel 1986 la famiglia opta per la quotazione in Borsa. In realtà poi quel denaro tornerà utile e si moltiplicherà durante la grande stagione delle svendite di Stato degli anni ‘90. Quando nel 1999 il governo di Massimo D’Alema chiede all’Iri di privatizzare le autostrade, la famiglia veneta è in prima linea. Per i Benetton si tratta di un grande affare da affiancare a quello di Autogrill, anch’essa acquistata tre anni prima sempre dall’Iri assieme alla catena della grande distribuzione GS. L’operazione finisce però nel mirino dell’Antitrust che chiede ai Benetton di aprire le strade italiane anche ad altri concorrenti della ristorazione. Ma, secondo l’Agcm, il diktat dell’autorità guidata da Giuseppe Tesauro non viene osservato e per questo, nel 2004, i Benetton si beccano una multa da quasi 16 milioni di euro. Un piccolo intoppo, uno dei pochi, nell’ascesa della famiglia veneta che entra nel salotto buono milanese acquistando, negli anni, partecipazioni nelle aziende che contano: Pirelli, Telecom, Generali e anche Rcs, l’editrice del Corriere della Sera.
Tutto merito del prospero business autostradale come testimonia il fatto che, solo nel 2016, i ricavi da pedaggio di Atlantia sono ammontati a 4 miliardi. Per non parlare del fatto che, ogni anno, a gennaio arrivano puntualmente i rincari dei pedaggi in teoria giustificati dagli investimenti dei concessionari sulla rete autostradale. Negli anni, le autostrade si sono confermate una gallina dalle uova d’oro per i Benetton che le hanno acquistate a prezzi stracciati dallo Stato. “Il caso della vendita in blocco della Società Autostrade ha garantito ai nuovi proprietari (Benetton) un enorme potere di mercato e una posizione monopolistica grazie all’estensione ultradecennale della concessione”, scrive l’onorevole Nichi Vendola in un’interrogazione parlamentare datata 29 settembre 2003. “Edizione Holding, società considerata come cassaforte della famiglia Benetton, ha rilevato Autogrill insieme alla catena supermercati GS per soli 700 miliardi di vecchie lire e ha rivenduto, meno di 3 anni dopo, la sola rete GS (e senza il patrimonio immobiliare) al gruppo Carrefour per 6.000 miliardi di vecchie lire con una plusvalenza di 4.500 miliardi di vecchie lire”, prosegue l’allora deputato di Rifondazione comunista.
“Con tale plusvalenza la famiglia Benetton ha potuto procedere all’acquisto del 30 per cento della Società Autostrade al prezzo di 5.000 miliardi di vecchie lire, passando poi con l’offerta pubblica di acquisto del 2003 al possesso dell’83 per cento del pacchetto azionario; lo stesso gruppo Benetton nel 1999 unitamente ad Autostrade ha acquisito partecipazioni in Autostrada Milano-Torino, Grandi Stazioni, Aeroporto di Torino, Aeroporto di Venezia (…) con l’evidente obiettivo di monopolizzare il sistema dei trasporti”, conclude Vendola, che chiede invano di sapere sulla base di quali valutazioni fu stabilito il prezzo di vendita ad Edizioni Holding delle Società Autogrill e GS e con quali procedure fu individuato nelle Edizioni Holding l’acquirente di tali società.
Qualunque siano stati i parametri dell’epoca, è ormai evidente che gli introiti da pedaggio sono una certezza. Così i Benetton hanno ben pensato di dare priorità alle concessioni nell’impero di famiglia allargandosi negli aeroporti. Nel 2000 partecipano alla privatizzazione degli aeroporti di Torino e cinque anni più tardi entrano con una quota di minoranza in Investimenti Infrastrutture spa, società che detiene una quota in Gemina, gli Aeroporti di Roma, destinata a confluire in Atlantia. Tutte operazioni possibili con il supporto di Mediobanca e con il sostegno della politica romana. Anche perché i Benetton hanno fatto la loro parte anche in vicende spinose come quella dell’Alitalia. In cambio hanno ricevuto e ricevono dai palazzi romani il supporto necessario ai loro progetti industriali.
Uno degli episodi più recenti risale al governo Monti: come ultimo atto dell’esecutivo, l’ex premier, di concerto con il ministro delle infrastrutture l’ex banchiere Corrado Passera, decide di fare un regalo ai Benetton raddoppiando le tariffe aeroportuali di Fiumicino, da 16 a 26,50 euro a passeggero. Detto in soldoni, il regalo vale 360 milioni di euro l’anno con un allungamento della concessione al 2044. Denaro facile che si può fare anche all’estero con il business delle concessioni. Di qui il senso dell’operazione Abertis che ripropone, a parti invertite, le nozze bloccate nel 2006 dall’allora ministro Antonio di Pietro, in guerra aperta con i concessionari. Per loro, disse, è “finita la cuccagna”. Ma forse si sbagliava.