“Eravamo più tranquilli quando c’era il boss, non adesso con Libera“. Via Muciaccia, a Bitonto, è al centro di un quartiere bollato, un tempo, come periferia problematica. Oggi le palazzine ristrutturate, i giardinetti pubblici e la tranquillità apparente nascondono quel passato che i residenti vogliono dimenticare. Quando, però, l’associazione Libera affigge uno striscione al balcone dell’appartamento confiscato ad uno dei più temuti boss della città, la voglia di cambiamento fa una brusca marcia indietro. Le dieci famiglie che vivono nella palazzina, un tempo abitata anche dal boss, sono ricorsi a sindaco e carabinieri per chiedere l’immediata rimozione dello striscione: “È un affronto alla mafia”. E questo, in una città che vive una recrudescenza della criminalità organizzata, secondo loro non può e non deve accadere.

Per vent’anni al primo piano di quel palazzo ha vissuto Emanuele Sicolo, elemento di spicco della criminalità organizzata della zona, oggi in carcere a scontare condanne per associazione mafiosa, omicidio, rapina, traffico di sostanze stupefacenti. Sicolo, oggi 47enne, già dagli anni Novanta è risultato essere affiliato ai più temuti clan del barese, come quello dei Parisi retto dal deus ex machina Savinuccio e il clan Capriati. Proprio per il sodalizio con questi ultimi, Sicolo fu coinvolto a pieno titolo nell’omicidio di un esponente della famiglia rivale, Michele Manzari. L’ultimo arresto risale a pochi mesi fa, quando fu ritenuto colpevole di estorsioni ai danni degli imprenditori, perpetrate al fianco degli uomini di Savinuccio.

La confisca dell’appartamento in via Muciaccia risale al 2007 e prima di lasciare il palazzo, il boss fa ciò che fanno tutti: lo distrugge. Porte, finestre, infissi, lampadari: tutto divelto, tutto ridotto in pezzi. Una prassi. Il Comune, beneficiario del bene, mura porte e finestre per evitare ulteriori danni e pubblica un bando per affidare la gestione dell’appartamento. Lo vince l’associazione L’Anatroccolo, qui cinque disabili troveranno l’indipendenza. Ma prima bisogna ristrutturare e Libera decide di accollarsene le spese. Alla fine dei lavori, i volontari affiggono lo striscione “Ieri mafia, oggi Libera, domani liberi”. “Mai – commenta Mario Dabbicco, responsabile pugliese dell’associazione di don Ciotti – avremmo immaginato di trovarci davanti a tutto questo”.

Il “tutto questo” è la ribellione di un intero condominio non al boss, ma a chi grida che lì la mafia non c’è più. Il campanello suona a vuoto in molti appartamenti. Qualcuno guarda in strada, attraverso le fessure delle tapparelle abbassate. Dalle telecamere è meglio star lontani. Qualcun altro, invece, accetta di parlare ma sulla soglia del portone. “Non si possono iniziare dei lavori senza avvisare l’amministratore di condominio, lasciare tutto sporco – spiega un uomo sulla sessantina -, e radunarsi in venti per schiamazzare nel portone. E’ uno stile dittatoriale!”. Gli fa eco il figlio che bolla come “demenziali” le polemiche delle ultime ore: “Non siamo omertosi, vogliamo solo rispetto”. Ma basta andare a fondo per capire che il problema è soprattutto un altro.

Come si viveva quando c’era il boss? “Tranquillissimi, eravamo tranquillissimi”. Meglio il boss che lo striscione di Libera? “Beh si”. Un ragazzo sui vent’anni, ci spiega che “doveva rimanere una cosa tra loro e loro”. Insomma, ristrutturate, occupate, ma fatelo in silenzio. Perché? “Perché questa è una provocazione alla mafia”. E questo, per alcuni di loro, è imperdonabile. I più anziani hanno paura di ritorsioni: “Quando i magistrati si mettono contro la mafia, muoiono quelli che non c’entrano nulla”. Quindi, meglio tacere, meglio stare zitti, “perché – spiega una coppia – non c’è da essere orgogliosi. Il sindaco lo sarà, ma non le nostre dieci famiglie”. “Hanno timore dell’ex inquilino – ci spiega Michele Abbaticchio, primo cittadino di Bitonto, poco dopo essere stato fermato in strada proprio da alcuni condomini di via Muciaccia -, mi hanno chiesto di togliere lo striscione perché temono che si presenti qualche mandante dell’ex proprietario che possa accusarli di non essere riusciti a farlo rimuovere“. Richieste cadute nel vuoto.

“Il lenzuolo di Libera resta là – chiude il sindaco che è anche vicepresidente nazionale dell’associazione per la legalità, Avviso Pubblico – anzi, ne ho messo anche un altro sul palazzo del Comune“. “Il proprietario di quell’appartamento – commenta ancora Mario Dabbicco – non vive più lì da tempo, ma ha lasciato radici ben più profonde di quanto potessimo immaginare. Dobbiamo tenere duro. Per noi ha precedenza assoluta il lavoro nelle scuole, bisogna sradicare questi concetti che vivono e si alimentano in alcune famiglie. I condomini, però – prosegue – devono sapere che ora le forze dell’ordine vigileranno sul bene, per evitare che ci siano ulteriori pericoli. Ma dobbiamo avere coraggio, rimboccandoci tutti le maniche, facendo leva sulle nostre coscienze e sul minimo di legalità che è presente in ognuno di noi. Solo così possiamo farcela”. Un lavoro che oggi appare difficile. Qui, in via Muciaccia – dove dopo una convivenza di vent’anni, dicono anche di non ricordare il nome del boss – la convinzione che si possa essere protagonisti di un cambiamento è debole. “Se non si fanno queste azioni, alla luce del sole, come la si combatte la mafia?” chiediamo loro prima di andar via. “E a noi tocca? – è la risposta – A noi cittadini?”.

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