Simone Perotti è stato manager di importanti multinazionali. Poi ha deciso di cambiare tutto. A partire dal libro ‘Adesso Basta’, edito da Chiarelettere nel 2009 (e ora in ristampa), un vero e proprio caso editoriale. "Sono andato verso di me e verso la mia possibile autenticità a 43 anni. Potevo farlo a 38”
“Mi limito a constatare che, questi, sono stati i migliori anni della mia vita”. Dieci anni dopo Simone Perotti ha le idee chiare. Dieci anni dopo non tornerebbe indietro. Non ha rimorsi, né rimpianti. Forse uno: “Non aver cambiato vita prima”. Classe 1965, è stato il primo a parlare alle nostre latitudini di downshifting, ossia il fenomeno, la capacità, il coraggio di scalare marcia, rallentare, cambiare vita. Per 19 anni, Simone ha lavorato intensamente, credendo nel modello che gli era stato impartito. Ha studiato, si è laureato, specializzato: ha fatto carriera. È stato manager di importanti multinazionali. Poi ha deciso di cambiare tutto. A partire dal libro ‘Adesso Basta’, edito da Chiarelettere nel 2009 (e ora in ristampa), un vero e proprio caso editoriale.
“La libertà è il genere più prezioso della materia esistenziale. E in questa epoca, il meno diffuso”, racconta Simone mentre è in barca. La differenza principale rispetto alla vita precedente è che in questi dieci anni è riuscito ad occuparsi delle cose più importanti “mentre prima non lo facevo”. “Prima vivevo in modo capovolto: ciò che occupava tutto era qualcosa che non costituiva il centro della mia esistenza. Dunque ero, etimologicamente, un alienato, come tanti di noi”, continua.
L’unico parallelo con la vita precedente è quello sul senso: “Prima tenevo ai margini le mie questioni fondamentali di uomo, tutte interiori, e le mie due anime profonde: scrivere e navigare. Al centro c’era il lavoro: il resto, anche i miei affetti più cari, era relegato ai margini. Oggi faccio l’opposto”, spiega.
Una sensazione, questa, che sembra accomunare molti in Italia. “Da Adesso Basta in avanti, infatti, è fiorita una realtà enorme, un disagio diffuso, un caleidoscopio di aspirazioni – continua – Migliaia di persone che, come me, volevano scrollarsi di dosso il peso enorme dell’ansia, delle responsabilità, del mondo imposto a cui dover dare retta, e speravano in una vita migliore”. Negli anni, poi, sono stati pubblicati molti libri sul tema del downshifting, e questo ha fatto comprendere che il fenomeno era ampio e non sarebbe finito in una moda.
Ci sono classi sociali più predisposte al cambio vita? No, anzi. “Il benessere delle persone non ha categorie, riguarda tutti – continua l’autore – Mi scrivono ventenni che vogliono cambiare vita, o settantenni con l’idea di farlo. Questo sistema non genera benessere, neppure in chi ne ha i massimi benefici”. E se sempre più persone, oggi, sono attratti dal fenomeno, è proprio perché la società non dà più benessere autentico: “Rumore, stress, corsa al denaro, religione del lavoro, dittatura della finanza, assenza di politica libera e autentica generano una società largamente incline all’omologazione, alla riduzione della libertà, all’appiattimento culturale e dell’emotività individuale. Luoghi sbagliati, strumenti scambiati per fini, falsi movimenti sono la gran parte di ciò che facciamo. Vedo molte persone nervose, col respiro corto, senza speranza, senza progetti, fermi, potenziali affogati”.
Una situazione che, così, trova il suo sfogo principale nell’Italia. “Amo molto il mio Paese – continua Simone –. Purtroppo qui non si può fare quasi più niente: troppe regole, troppi vincoli, nessuna ispirazione. Molto difficile che questo posto sia il luogo del benessere”. L’unica soluzione è cercare “qualche angolo della penisola dove nascondersi, dove fuggire, per non farsi contaminare dall’ignoranza abissale in cui siamo tutti immersi”. E “ignoranza – ci tiene a precisare l’autore – è quando si ignora, appunto, il senso possibile della vita che dovremmo perseguire. E anzi, si fa tutt’altro”.
A 52 anni, oggi, l’unico rimpianto per Simone è quello di non aver scelto di cambiare vita prima: “Le paure che mi trattenevano erano tutte eccessive. I rischi reali erano infinitesimali rispetto alle resistenze. Sono andato verso di me e verso la mia possibile autenticità a 43 anni. Potevo farlo a 38”. Il futuro? Si parte da una ricetta semplice: “Serve coraggio a questa penisola – conclude – Che molti prendano coraggio e invertano la direzione. A partire da se stessi”.