I fondi alle cooperative che gestiscono i Cas vengono erogati dalle Prefetture. Ognuna di queste, tuttavia, ha le sue regole di rendicontazione e i suoi tempi per girare alle associazioni i soldi dovuti. Che arrivano con in media 4-5 mesi di ritardo. Parte di quelli dello scorso anno non sono ancora arrivati
Il Viminale ha 408 milioni di “spese da pagare” per la gestione dei centri di accoglienza straordinaria nel 2016. Il debito ormai è diventato cronico: sono due anni che i soldi alle cooperative arrivano con in media quattro-cinque mesi di ritardo (nelle migliori delle ipotesi). Così le cooperative faticano a garantire l’accoglienza.
Il sistema dei pagamenti – I soldi alle cooperative vengono erogati dalle Prefetture, che ricevono tutte insieme il bonifico dal Ministero dell’Interno. Solo che ogni Prefettura, spiegano gli operatori, ha le sue regole di rendicontazione e i suoi tempi per girare alle cooperative i soldi dovuti. Sistemi diversi producono disparità nei tempi di consegna: nel caso migliore, a metà luglio la Prefettura ha versato ai gestori dei Cas i primi quattro mesi del 2017. Nei peggiori stanno ancora aspettando il primo pagamento.
Il caso di Roma – Emanuele Petrella è responsabile di Idea Prisma 82, una cooperativa che gestisce sia posti Sprar (sistema ordinario di accoglienza, finanziato dal Servizio centrale e dai Comuni) che centri Cas, che passano dalle Prefetture. La sua cooperativa ha progetti a Roma, Rieti e Latina. “Non ho dubbi che la situazione peggiore sia per i Cas a Roma”, afferma. Al 28 luglio ancora non aveva ricevuto un euro per il 2017. A Latina e Rieti invece il pagamento fino ad aprile era già stato fatto, mantenendo così l’ormai canonico ritardo di tre-quattro mesi sui pagamenti. “Gli enti gestori fanno molta fatica ad anticipare i costi alle cooperative, che sono così costrette a rivolgersi a istituti bancari per avere un anticipo”, racconta. L’effetto è che gli interessi di questi prestiti sono a carico delle coop, che sono costrette a tagliare i servizi. “Questi soldi invece che essere spesi per la gestione dei profughi vengono dati alle banche. Se non si dovessero ricorrere agli anticipi, andrebbero in servizi d’accoglienza”. Senza quegli anticipi, però, alcune cooperative avrebbero già chiuso. “Credo che la stessa Prefettura dovrebbe aprire linee di credito per pagare degli anticipi”, ragiona Petrella. Il sistema in questo modo potrebbe contenere anche gli interessi rispetto ai prestiti, visto che a chiederli sarebbe lo Stato.
Il problema strutturale: Cas contro Sprar – “Io sono un grande tifoso del sistema Sprar, lo dico apertamente”, spiega Petrella, secondo cui il sistema ordinario ha il vantaggio di coinvolgere gli enti locali nella programmazione dell’accoglienza e in più programma con esattezza le spese, a differenza dei centri straordinari. Spesso, infatti, i Cas vengono aperti all’interno di strutture che hanno prima bisogno di una ristrutturazione e che vanno comunque aperti in tempi rapidi. Il risultato è che il conto diventa spesso salato. Solo di ristrutturazioni il Ministero per il 2017 ha messo a bilancio 52 milioni di euro. In più, con lo Sprar i ritardi sono più gestibili: non si va – di solito – oltre i quattro mesi. Almeno nel Lazio. “Fosse per me, farei gestire interamente l’accoglienza al sistema Sprar: non si può ragionare ancora in emergenza”. Il problema è che l’adesione al programma di accoglienza ordinaria è su base volontaria e solo un Comune su otto, in media, ha accettato.
Brescia e Taranto – Agostino Zanotti ed Enzo Pilò sono responsabili di centri Sprar e Cas il primo a Brescia e il secondo a Taranto. Zanotti spiega che proprio l’ultima settimana di luglio la Prefettura ha erogato il pagamento dei primi quattro mesi del 2017. E ha promesso per metà agosto altri due mesi: sarebbe un risultato molto migliore dell’anno scorso, quando “le difficoltà sono state anche maggiori”, spiega Zanotti. A Taranto Pilò racconta invece di una situazione paradossale: la prefettura paga con quattro mesi di ritardo, mentre a sette mesi paga lo Sprar. “Abbiamo un progetto per minori stranieri non accompagnati che costa 500mila euro e finora ne abbiamo ricevuti 40mila”, spiega. A conferma che anche il meccanismo dello Sprar non sempre funziona.
Le cooperative chiedono soldi al Comune di Agrigento – Il 7 luglio a Villaggio Mosè, vicino Agrigento, dieci profughi subbsahariani minorenni hanno cominciato una protesta per chiedere i loro 2,5 euro giornalieri di pocket money, una delle misure previste per l’accoglienza. Sempre ad Agrigento, il Comune si è visto recapitare a ottobre 2016 una richiesta di pagamento da 440mila euro da parte di una cooperativa per minori stranieri non accompagnati per il lavoro mai pagato del 2015. Sono i Comuni tenuti a pagare le strutture, ma con denaro che proviene dal Viminale. A maggio 2017, un’altra cooperativa, la Antares, ha chiesto oltre 135mila euro sempre per lo stesso motivo. Il Tribunale agrigentino ancora non si è pronunciato. IlFattoQuotidiano.it ha chiesto un commento al Comune, che però non ha risposto.