Mauro Moretti e Michele Mario Elia, gli amministratori delegati di Rete Ferroviaria Italiana dal 2001 al 2006 e poi dal 2006 al 2013, sottovalutarono “situazioni di pericolo perduranti nel tempo, derivanti da carenze strutturali, e relative ad impostazioni di carattere generale nonché a scelte di politica aziendale, che non dovevano e non potevano sfuggire”. Per questo i dirigenti della società che fa parte del gruppo Ferrovie e si occupa delle infrastrutture sono stati condannati per la strage della stazione di Viareggio, nella quale il 29 giugno 2009 morirono 32 persone. Anche per questo, dunque, quella tragedia non fu “imprevedibile“, come hanno scritto i giudici del tribunale di Lucca Gerardo Boragine, Nadia Genovesi e Valeria Marino nelle oltre mille pagine di motivazioni della sentenza pronunciata a fine gennaio.
Moretti è stato condannato a 7 anni ed Elia a 7 anni e mezzo. Entrambi, spiega il tribunale, sono stati ritenuti colpevoli perché non hanno fatto “‘una adeguata analisi e valutazione dei rischi”, in particolare per quelli connessi “alla circolazione di convogli trasportanti merci pericolose sulla intera rete nazionale”. A loro i giudici imputano anche la colpa di aver consentito la circolazione di materiale rotabile “che in base alle regole e agli standard di sicurezza stabiliti dalla stessa Rfi, in mancanza della necessaria tracciabilità“. E del resto all’ad di Rfi, quindi a Moretti prima ed Elia poi, vengono “espressamente attribuiti tutti i poteri ed illimitata autonomia organizzativa, senza alcun vincolo di spesa in materia di sicurezza di esercizio e al fine di garantire la sicurezza e l’igiene del lavoro, l’incolumità di terzi e la tutela dell’ambiente”.
Al contrario Moretti è stato assolto in qualità di ad di Ferrovie dello Stato (quindi per il periodo dal 2006 al 2014) perché non è “sufficientemente provato” che abbia assunto “anche la qualità di amministratore di fatto di Trenitalia e Rfi”, che sono società “figlie” di Ferrovie, con propri dirigenti. Quelli che lo stesso tribunale definisce “innumerevoli interventi” nella gestione delle società controllate dal gruppo Ferrovie “non sono sufficienti” a dimostrare un collegamento diretto tra quelle decisioni e i mancati interventi per la sicurezza di Rfi.
All’indomani del deposito delle motivazioni, parla anche l’avvocato di Moretti, Armando D’Apote, che il giorno della condanna del manager aveva parlato di “sentenza populista“. “Viste le motivazioni ribadisco quanto dissi a caldo, dopo la lettura del dispositivo – ribadisce D’Apote – E’ una sentenza pregevole per quanto riguarda molti aspetti ma cade miseramente su affermazioni di responsabilità motivate in modo apodittico, senza confrontarsi con molti degli elementi difensivi e palesemente decisa per rispondere alle aspettative popolari che hanno premuto mediaticamente sul processo negli ultimi otto anni“. D’Apote dice di “rammaricarsi” del fatto che “la nostra presenza mediatica non sia stata altrettanto pressante, per far conoscere all’opinione pubblica la realtà tecnica e storica degli avvenimenti e che sia lasciato il campo solo all’accusa pubblica e privata. Ovviamente presenterò appello in difesa dell’ingegner Moretti condannato per una posizione che rivestiva tre anni prima del tragico incidente”.