Calabria, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Marche e Veneto - a cui bisogna aggiungere i Comuni di Vasto e Pineto, in Abruzzo - hanno deliberato di impugnare il decreto del Mise del 7 dicembre 2016, che definisce il disciplinare per il rilascio e l’esercizio dei titoli minerari su prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi
Si rischia la paralisi delle trivellazioni per quanto riguarda il rilascio di nuove concessioni e nuovi permessi. Sono sei le Regioni che hanno deliberato di impugnare il decreto del ministero dello Sviluppo Economico del 7 dicembre 2016, pubblicato ad aprile che definisce il disciplinare per il rilascio e l’esercizio dei titoli minerari su prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. Si tratta di Calabria, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Marche e Veneto (solo quest’ultima di centro-destra) a cui bisogna aggiungere anche i Comuni di Vasto e Pineto, entrambi in Abruzzo. Il 1 agosto è scaduto il termine per presentare ricorso. È la prima conseguenza della recente sentenza 198/2017 con cui la Corte Costituzionale ha stabilito che non spettava adottare “il decreto del 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell’articolo 38 dello Sblocca-Italia) senza adeguato coinvolgimento delle Regioni”.
LA SENTENZA – Con il pronunciamento la Consulta aveva dato ragione alla Regione Abruzzo, l’unica a presentare un ricorso per conflitto di attribuzione, annullando il decreto Trivelle del 2015, che regolava il rilascio dei titoli oil&gas, perché adottato senza intesa con le Regioni. E dopo la sentenza il sottosegretario alla presidenza della Regione, Mario Mazzocca, aveva annunciato: “Ora procederemo ad impugnare il decreto Trivelle del 2016 (pubblicato nel 2017), interamente sostitutivo di quello del 2015 è anch’esso adottato senza intesa alcuna”.
IL RICORSO E LE CONSEGUENZE – Le Regioni hanno raccolto l’invito del Coordinamento nazionale No Triv, che ha commentato: “Per il governo è una nuova ‘Caporetto’. Fatale per il Mise è stata la recente sentenza della Corte Costituzionale” con cui ha dichiarato che il disciplinare del 2015 (e quindi anche quello del 7 dicembre 2016) sono illegittimi. Il risultato è che si potrebbe arrivare alla paralisi delle trivellazioni, anche oltre le 12 miglia. “A questo punto – ha dichiarato Tiziana Medici, portavoce e cofondatore del Comitato – il Mise ha di fronte a sé due alternative: o ritira il disciplinare del 7 dicembre 2016 e ne riscrive uno del tutto diverso, cancellando tutte le amenità denunciate pubblicamente dal Comitato nazionale No Triv, ricercando l’intesa con le Regioni, oppure andrà incontro a sonore sconfitte nelle aule dei tribunali ogni qualvolta tenterà di adottare un qualsiasi atto che richiami il disciplinare-tipo dichiarato incostituzionale dalla Corte. Noi saremo lì ad attenderlo”. Soddisfatto il costituzionalista Enzo Di Salvatore, cofondatore del Comitato, secondo cui “il governo deve inserire nella Sen (Strategia energetica nazionale) 2017 la previsione del Piano delle Aree e porvi mano, d’intesa con le Regioni e le Autonomie Locali. Tra Disciplinare-tipo ed assenza di Piano Aree, nel nostro Paese le compagnie Oil&Gas hanno di fatto mano libera”.
LA POLEMICA IN PIEMONTE – E se sei Regioni hanno deciso di impugnare il decreto Trivelle, in Piemonte le cose sono andate diversamente. “Per la quarta volta la Regione Piemonte fa come Ponzio Pilato sui pozzi Eni di Carpignano Sesia (Novara). A parlare è Gianpaolo Andrissi, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, che ricorda come la giunta “si era già rifiutata di presentare ricorso contro lo Sblocca Italia, contro il primo e secondo decreto trivelle e persino contro il decreto di compatibilità dei pozzi redatto dal Ministero dell’Ambiente”. Eppure è stato proprio il decreto Sblocca Italia a dare il via libera a un progetto di trivellazioni alla ricerca di petrolio e idrocarburi nel comune piemontese.
L’esponente grillino accusa così il governatore Sergio Chiamparino e l’assessore alla Programmazione territoriale e paesaggistica Alberto Valmaggia: “Con il loro immobilismo hanno srotolato tappeti rossi per l’arrivo delle trivelle petrolifere ignorando completamente le richieste dei cittadini e la necessità di difendere l’ambiente”. Andrissi sottolinea la differenza con le altre Regioni “anche a guida Pd” che “hanno tutelato i propri interessi impugnando i folli decreti del governo Renzi e vincendo nelle aule dei tribunali dove è stato ribadito come decisioni così importanti debbano avvenire in accordo con le Regioni. Il Piemonte invece è rimasto a guardare, con buona pace dei maggiorenti democratici del novarese”.