Il giornalista Gianluca Paolucci pubblicò le intercettazioni relative all'attività di lobbying del colosso assicurativo per modificare a suo favore la riforma Rc Auto. Finì indagato e dovette consegnare il contenuto di tutti i suoi supporti informatici. La procura, ricostruita la vicenda, si è resa conto che non venne commesso alcun reato: gli audio erano finiti per errore tra gli atti consegnati a un legale che aveva fatto regolare richiesta di accesso
Il reato non venne mai commesso, né dal giornalista né da altri. Si trattò solo di un errore, una svista avvenuta negli stessi uffici della procura. Nel frattempo, però, il giornalista de La Stampa Gianluca Paolucci, dopo la denuncia dell’ad di Unipol Carlo Cimbri, era finito indagato per violazione del segreto d’ufficio e la sua casa venne perquisita da cinque finanzieri per due ore alla ricerca di supporti informatici o qualsiasi altro materiale che potesse ricondurre a chi gli avesse fornito le intercettazioni relative alle manovre di Unipol per modificare a suo favore la riforma Rc Auto voluta dal governo Letta a cavallo tra il 2013 e il 2014. Audio poi pubblicati da La Stampa il 13 e 14 luglio a corredo di due articoli che spiegavano il lavoro di lobbying della compagnia assicurativa su alcuni parlamentari del Partito Democratico.
Invece gli il contenuto di quelle telefonate – che in realtà avrebbero dovuto essere coperte da segreto istruttorio – erano finite per errore tra gli atti ottenuti lecitamente da un legale coinvolto nel procedimento, grazie a una “richiesta di accesso” controfirmata dal pm titolare dell’inchiesta. Paolucci le aveva ottenute da una sua fonte e, facendo il suo lavoro, le aveva pubblicate. Per questo si era ritrovato cinque finanzieri a casa e il suo giornale ben 11 all’interno della redazione. Per un errore.
Così ieri la procura di Torino ha restituito tutto il materiale informatico al giornalista e il procuratore Armando Spataro ha spiegato in una lettera rivolta al direttore de La Stampa Maurizio Molinari la genesi dell’errore, scusandosi con Paolucci e il quotidiano torinese. “Nell’assoluto rispetto del diritto-dovere di informare (…) le invio questa nota (…) per favorire una riflessione dei lettori sul delicato tema della diffusione di notizie acquisite tramite intercettazioni”, scrive Spataro nella lettera pubblicata integralmente da La Stampa.
Ripercorrendo la genesi dell’indagine, il procuratore capo di Torino afferma che il magistrato che aveva autorizzato il rilascio degli atti “era convinto che i supporti contenessero solo le intercettazioni da trascrivere ed utilizzare in dibattimento (…) e non anche quelle inutilizzabili o segrete”. Aggiungendo poi d’essere disponibile a un confronto pubblico sulla “possibile procedura (…) che consenta ai giornalisti di accedere autonomamente ad atti processuali di pubblico interesse, Spataro si scusa “confermando al contempo la nostra piena convinzione della necessità di una stampa libera e indipendente, che sappia comunque trovare da sé gli strumenti per contribuire alla tutela della privacy ed alla corretta informazione”.