A Luca Zaia non basta vincere il referendum consultivo autonomista. Vuole un plebiscito. È per questo che in Veneto si sta trasformando in un’operazione studiata scientificamente, una sorta di occupazione del territorio elettorale, l’appuntamento previsto per il 22 ottobre prossimo, in concomitanza con un analogo voto in Lombardia. “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”. La domanda topica, diventata baricentro e barometro della seconda giunta a trazione leghista, sarà riproposta in tutti i modi e in ogni occasione da una macchina da guerra pronta ad entrare in funzione. Non senza polemiche.
Ci sarà l’aeroplanino con striscione che volerà sulle spiagge. Gli uffici regionali utilizzeranno banner per ricordare l’appuntamento. Lo stesso potranno fare i singoli dipendenti regionali, se il Corecom darà il via libera, dopo Ferragosto, quando esaminerà due denunce presentate dai consiglieri regionali Piero Ruzzante (Mdp) e Patrizia Bartelle (M5s) contro la legittimità degli ordini al riguardo impartiti dai dirigenti. E se un veneto si collegherà al sito di una Usl per prenotare una visita medica, si imbatterà nel logo propagandistico, che gli ricorda data, tema e orari del voto.
Sull’esito del referendum ci sono pochi dubbi. La maggioranza a favore sarà schiacciante, soprattutto dopo che si è accodato pochi giorni fa anche il Pd, accogliendo l’invito del sindaco di Vicenza Achille Variati, che temeva l’isolamento del centrosinistra rispetto a uno dei temi caldi per il Veneto. Ma se tutti sono d’accordo (o quasi, la sinistra si è smarcata, sostenendo che si tratta di un’inutile burletta), dov’è il problema? Che la gente va a votare sempre di meno. In 19 occasioni, dal 2000 ad oggi, il quorum è stato raggiunto solo con i referendum costituzionali del dicembre 2016 e giugno 2006. In tutte le altre 17 circostanze si è oscillato tra il 24 e il 40 per cento dei votanti. E siccome il referendum è valido solo con una partecipazione superiore al 50 per cento, ecco che Zaia vuole evitare trappoloni. Il suo obiettivo non è solo la vittoria. Vuole contare risultati da plebiscito, per oscurare quello che lo Stato Sabaudo indisse nell’ottobre 1866 per sancire l’annessione del Veneto. A favore furono 641.758 elettori (maschi, ultra ventunenni), contro soltanto 69. I venetisti non hanno mai digerito quello che ancor oggi considerano un referendum-truffa.
Per questo Lega Nord e Regione Veneto sono già al lavoro, pancia a terra. Il Veneto ha previsto un esborso di 14 milioni di euro. Ma pochi giorni fa ha aumentato da 500mila a un milione e 200mila euro lo stanziamento per la comunicazione. Le opposizioni sono insorte. A Palazzo Balbi, sede della giunta regionale, fanno sapere che la Lombardia spenderà molto di più, circa 49 milioni in totale, e che la pubblicità sarà meramente informativa. Ecco spuntare l’aereo delle spiagge, gli spot al cinema, le locandine e i manifestini su treni e autobus. E poi c’è il capitolo della pubblicità istituzionale, con un sito web, i canali social della Regione, le newsletter, banner e rete degli Uffici di relazione con il Pubblico. Una ragnatela per portare i veneti al voto.
Come non bastasse, nei giorni scorsi è iniziata la discussione su una proposta di legge che imporrà di esporre la bandiera della Regione Veneto (con leone di San Marco) su tutti gli edifici pubblici, sulle scuole, sugli edifici che hanno beneficiato di finanziamenti regionali. Chi non lo fa verrà multato, da 100 a 1.000 euro. Ma il testo, che prevede anche un fascia per il governatore o un suo sostituto, è una specie di pateracchio che vuole dare pari dignità alla bandiera veneta rispetto a quella italiana o della Comunità Europea. Per questo verrà modificato dopo le ferie. D’altra parte basta leggere una parte della relazione introduttiva del disegno di legge: “Proponiamo precise modalità e obblighi di esposizione della bandiera del Veneto in tutti gli uffici pubblici della Regione e in quelli privati in determinate situazioni, per riportare la centralità del parametro civiltà nelle scelte politiche”.
E fin qui tutto chiaro. Ma è il seguito che denota una grande confusione. “La mancata riflessione sull’identità culturale storica, i legami con il territorio, l’ambiente, i valori pre-esistenti, il recupero dell’irriproducibile, ebbene queste grandi assenze combinate con l’assenza di una riflessione umanistica che ha portato alla sottovalutazione, se non disistima, dell’identità storica locale, hanno generato la standardizzazione del banale, l’asservimento supino al meccanismo produttivo seriale”. Alzi la mano chi ha capito cos’è la “standardizzazione del banale” o “l’asservimento supino al meccanismo produttivo seriale”. A legge approvata, di seriale ci sarà soltanto la produzione di bandiere con il leone alato sullo sfondo azzurro del cielo e del mare, con il vangelo aperto del tempo di pace.