Il Noaa, l'agenzia meteo americana, ha fornito dati peggiori del previsto: nella zona in questione non c'è quasi più vita. Sotto accusa l'industria della carne, che sversa nei fiumi materiali che fanno proliferare alghe e fitoplancton nocivi per le specie marine
Una ‘zona morta’ dove l’ossigeno scarseggia a tal punto da mettere in pericolo la vita dei pesci. La formazione di quest’area, nelle acque del Golfo del Messico è stata confermata dalla Noaa, l’agenzia meteo americana, che ha misurato una zona a rischio di quasi 23mila chilometri quadrati, 2mila in più rispetto alle previsioni, che già non erano rassicuranti. Per gli scienziati è la maggiore mai osservata dal 1985, da quando sono iniziate le rilevazioni. L’allarme era già stato lanciato nella primavera del 2013, quando l’abbondanza di precipitazioni che si era abbattuta sul Midwest americano aveva alimentato la portata dei fiumi che, a loro volta, avevano riversato in mare notevoli quantità di azoto e fosforo, utilizzati come concimi dall’industria agricola. La conseguenza era stata una proliferazione di alghe giganti, che avevano ucciso gli altri organismi marini. A distanza di tre anni questa ‘zona morta’ si sta estendendo sempre più, al largo della costa della Louisiana. A rischio non solo l’habitat marino, ma la stessa industria ittica. Dall’aragosta ai gamberetti, i primi effetti si vedono, con i prezzi che continuano a salire per le difficoltà a reperire la materia prima.
LE CAUSE DEL FENOMENO – Secondo l’agenzia Usa un contributo importante arriva dall’inquinamento portato in mare dal fiume Mississippi. Un nuovo rapporto dell’organizzazione ambientalista Mighty Earth ha rilevato, infatti, che le enormi quantità di tossine e nitrati presenti nei concimi, nei fertilizzanti e in altre sostanze nutritive usate dall’industria agricola finiscono nei fiumi che alla fine sfociano nel Golfo del Messico e favoriscono la crescita record di alghe e fitoplancton. A causare la profonda ipossia, infatti, è il processo di degradazione delle alghe che, quando muoiono, provocano una vera e propria esplosione di batteri, consumando elevate quantità di ossigeno e sottraendolo alle altre specie viventi. Secondo il Noaa nel solo mese di maggio nei fiumi Mississippi e Atchafalaya sono state sversate oltre 22mila tonnellate di fosforo. Simili quantità possono obbligare i pesci a spostarsi in altre zone per sopravvivere. Senza ossigeno si riducono anche le capacità riproduttive e, con esse, quantità e qualità del pescato. Il danno, quindi, non riguarda solo l’habitat marino, ma anche l’industria ittica della regione.
L’INDUSTRIA DELLA CARNE – Tra i responsabili di questo fenomeno ci sarebbe anche l’industria della carne, già sotto la lente degli ambientalisti per il suo ruolo nel riscaldamento globale e nella deforestazione. Sempre Mighty Earth, infatti, sottolinea come gran parte dell’inquinamento da concimi e fertilizzanti nel Golfo del Messico proviene dalle enormi quantità di mais e soia utilizzate per allevare animali da macello. Secondo l’associazione, che ha confrontato i dati della catena di approvvigionamento dei produttori di carni e mangimi negli Stati Uniti con quelli sulla concentrazione di nitrati, tra le aziende più inquinanti c’è il colosso dell’industria della carne Tyson Foods. “Gli americani non dovrebbero scegliere tra la produzione di cibo e l’acqua pulita” ha dichiarato Lucia von Reusner, direttrice di Mighty Earth, secondo cui “le grandi aziende di carne come Tyson hanno lasciato una scia di inquinamento in tutto il Paese e devono ripulire l’ambiente, una responsabilità che hanno nei confronti dei loro clienti e dell’opinione pubblica”.