Nell’Occidente capitalista, siamo prigionieri del costrutto razionalista materializzato dai sensi. E del paradigma riduzionistico scientista usato come strumento di controllo delle masse per reprimere la felicità di una società abbrutita dal binomio fisico-mentale, repressi slanci extrasensoriali e metafisici che potrebbero dischiudere realtà multidimensionali pacificatrici, apportando maggiore consapevolezza individuale, amorevole benessere collettivo e guarigione nei piani fisico-sottili. E’ la summa (al netto di una preclusione proibizionista anti-droghe del lettore) avanzata dal ricercatore autodidatta australiano Julian Palmer, che nel libro Frammenti di un insegnamento psichedelico (edizioni Spazio Interiore) offre un’utile guida alla comprensione di rischi, insidie e potenzialità di ausili psichedelici, enteogeni tribali (non solo amazzonici) e piante piscotropiche sacramentali.

Esploratore estremo di piani trascendentali indotti (in un quindicennio di esperienze psichedeliche si è spinto persino a iniettarsi eroina, disprezzandone gli effetti dissociativi), Palmer tratteggia una mappatura discretamente documentata di sostanze pericolose (a volte illegali o al limite della legalità) ma dal grande potenziale curativo fisico-psicologico-mentale (la differenza la farebbero dose e concentrazione), ponendosi a metà tra l’estasi e l’agonia (senza scadere nella disorganizzazione della psiche) svelata dall’antropologo cileno Claudio Naranjo  e il ponte olotropico costruito dallo psichiatra ceco Stanislav Grof tra antica saggezza iniziatica e nuove scoperte scientifiche.

Infuso di changa, funghi magici, Dmt, Mdma, mescalina, Lsd: per superare i limiti del corpo in stati extracorporei, fuggendo da ansiolitici e antidepressivi che attanagliano vite e società contemporanea, secondo l’autore si possono apprezzare sogni lucidi, tutt’altro che immaginari e illusori. Fornendo una chiave di lettura metafisica persino all’atto sessuale, l’orgasmo in un abbraccio cosmico tra Tantra, Tao e Wilhelm Reich per la ricomposizione nell’unicum delle polarità.

“La scienza, religione del nostro tempo, non è un’autorità di riferimento per questo lavoro”, forte della sua visione anarcoide antropocentrica insinua Palmer, che farebbe a meno anche di fisica quantistica, misticismo orientale e sciamani, lasciando ad ognuno la libertà autoesplorativa di avventurarsi, secondo i propri piani di risonanza, con le frequenze sottili contenute nei messaggi rivelatori non solo dell’ayahuasca, ma anche di iboga africana, acacia australiana e San Pedro, piante medicinali nella farmacopea dei popoli nativi, sdoganate in Italia dai sempre più numerosi cerchi di cura patrocinati da curanderos.

“Le piante psicoattive – conclude Palmer – possono essere particolarmente utili per guidare, catalizzare e curare, ma servono esclusivamente per venire a patti con se stessi, perché il lavoro che ognuno di noi deve fare, dentro e fuori, è semplicemente qui e ora”. Seppure scorrevole e di facile comprensione anche per inesperti a viaggi psichedelici, il libro non è propriamente una lettura sotto l’ombrellone ma certamente consigliato per comprendere senza tabù un argomento (pregiudizialmente) scottante.

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