A quasi un anno dalla prima forte scossa di terremoto che ha messo in ginocchio il centro Italia, sui Sibillini il tempo sembra essersi fermato. Molte strade sono ancora bloccate e c'è ancora chi non ha avuto la possibilità di accedere a quello che resta della propria casa. In tutta l'area del sisma si stima ci siano 2 milioni e 428mila tonnellate di macerie da eliminare. E sono solo quelle pubbliche. Il sindaco di Castelsantangelo: "Non si può procedere in maniera ordinaria per un disastro epocale come questo"
Il Sindaco di Castelsantangelo sul Nera, Mauro Falcucci, non vuole ingannare i suoi cittadini ed è diretto: “Per la ricostruzione ci vogliono 15 anni”. L’ammissione, fra l’amaro e il rassegnato, durante una delle tante riunioni che il comune marchigiano (epicentro della seconda scossa più importante della sequenza iniziata circa un anno fa, quella del 26 ottobre) ha organizzato per aggiornare la popolazione sulla situazione. E in effetti sui Sibillini, fra Visso, Castelsantangelo e Ussita, il tempo sembra essersi fermato: a quasi un anno dalla prima forte scossa che ha colpito il centro Italia c’è ancora chi non ha potuto accedere a ciò che resta della propria casa per via delle macerie che ostruiscono molte strade. Di ricostruzione non si parlerà prima di mesi. “Sembra un bombardamento, non si può descrivere”, ci ha detto una coppia di mezza età che risiede a Gualdo, frazione di Castelsantangelo. Se le strade principali per raggiungere i paesi sono state liberate, i centri restano inaccessibili, le case chiuse, agibili o no sono irraggiungibili, i vicoli sono ancora ostruiti.
E il sindaco Falcucci va oltre: “Credo che tutti si siano resi conto che il terremoto andava normato in maniera diversa. Ci sono comuni disastrati e comuni solo leggermente colpiti. Qui vanno nominati commissari ad acta, non si può procedere in maniera ordinaria quando si sta affrontando un disastro epocale. Ci vuole una riperimetrazone delle aree colpite. Con le macerie si procede lentamente perché sono state assimilate a rifiuti urbani. Non si può ricostruire senza che le macerie siano state tolte”. A Castelsantangelo sul Nera, uno dei 131 comuni del cratere, a conti fatti, il 93% del patrimonio immobiliare è inagibile e sono stimate 100mila tonnellate di macerie pubbliche da rimuovere (2600 tonnellate già rimosse).
I dati parlano chiaro: in tutta l’area del sisma si stima ci siano 2 milioni e 428mila tonnellate di macerie da eliminare (dati forniti dalle Regioni interessate, Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo), numeri che riguardano solo le macerie pubbliche, non quelle private che invece si muovono sul binario della ricostruzione. Al 31 luglio ne erano state trattate 237.707, meno del 10%. Nelle Marche in particolare, la Regione che è stata maggiormente colpita (circa la metà dei 10400 chilometri quadrati interessati dal terremoto fanno parte del territorio della Regione), su 1 milione e 100 tonnellate di macerie da trattare si è arrivati a 109.707. La procedura prevista comprende innumerevoli passaggi, molti dei quali vengono fatti a mano.
Già nell’ordinanza 391 del primo settembre 2016 del Capo Dipartimento Protezione Civile, le macerie erano assimilate a rifiuti urbani e la loro rimozione e trasporto era affidata alle aziende che li gestiscono nelle zone interessate. Lo stesso principio è stato poi ribadito con il DL 189, convertito in seguito in legge. Per quanto riguarda le Marche, la gestione dei materiali provenienti dai crolli nei Comuni colpiti è stata affidata a due aziende: la Cosmari per Macerata e la PicenAmbiente per i territori di Fermo e Ascoli Piceno, il 9 febbraio 2017. È tutto nero su bianco nel piano macerie regionale, il trattamento comprende sette complessi step, sempre che sia andata a buon fine la procedura per l’ordine di demolizione e non si sia incagliata in qualche maglia. Le fasi: cernita manuale, in loco, per la bonifica da materiali pericolosi (amianto); recupero di frammenti che possano avere un valore storico o artistico (con l’aiuto del Mibact e delle Soprintendenze) e di oggetti personali e beni di valore, il tutto rigorosamente tracciato; trasporto ai depositi; ulteriore cernita manuale delle macerie per separare le diverse tipologie di rifiuti quindi legno, cavi elettrici, metalli ecc; archiviazione e catalogazione di tutti i beni personali rinvenuti; trasporto degli inerti a cura delle ditte specializzate, selezionate con gare d’appalto e, in fine, frantumazione degli stessi per il recupero. “La cernita viene fatta manualmente da operatori che selezionano i vari materiali e recuperano eventuali beni preziosi o di valore affettivo che dovessero essere sfuggiti alla prima selezione. Tutto viene tracciato ed etichettato”, racconta, con un certo orgoglio, Paolo Berardinelli, responsabile dell’unità operativa per il terremoto di Cosmari.
Al momento, secondo quanto dichiarato dalla Regione, si procede a un ritmo di 2000 tonnellate al giorno (costo a tonnellata: 50 euro), anche se, ripercorrendo i comunicati stampa ufficiali che si sono susseguiti nei mesi, si scopre che la macchina è ancora più lenta: il 22 giugno risultavano, nelle Marche, 71mila tonnellate smaltite, al 31 luglio erano 109.707. Se non si considerano i sabati e le domeniche, lo smaltimento giornaliero nel mese di luglio è stato di 1382 tonnellate al giorno. Non resta che sperare nel nuovo impianto di cernita in via di costruzione presso Cosmari, a Tolentino. L’impianto coperto sarà dotato di un nastro trasportatore che dovrebbe velocizzare la cernita, operazione che resterà comunque manuale. “Sarà pronto per fine settembre. Ci volevano tutte le autorizzazioni dalla Regione, ci sono stati i tempi tecnici delle gare d’appalto, anche cercando di velocizzare più in fretta non era possibile”, ammette, quasi imbarazzato, Massimo Procaccini, tecnico macerie di Cosmari. A regime saranno 5 i siti di stoccaggio e smaltimento macerie nelle Marche, due dei quali dotati appunto di nastro trasportatore per uno smaltimento giornaliero stimato di 2500 t.