Da una parte si dà il benvenuto a una giornalista, l’iraniana Neda Amin, per “motivi umanitari”, dall’altro Israele, come annunciato nei giorni scorsi dal premier Benjamin Netanyahu, chiuderà la sede della tv satellitare Al-Jazeera. Tel Aviv revocherà le credenziali stampa ai giornalisti della tv panaraba, lavorerà per chiudere la sede dell’emittente a Gerusalemme ed eliminerà le trasmissioni della rete con base in Qatar dalle emittenti via cavo e satellitari. Questo perché secondo il ministro della Comunicazione, Ayoub Kara, l’emittente sostiene “il terrorismo”. Contemporaneamente il ministro degli Interni Arie Deri, in un messaggio Twitter scriveva: “Ho autorizzato l’ingresso in Israele della giornalista iraniana Neda Amin per motivi umanitari. La Turchia la vuole espellere in Iran, e là rischia la pena di morte per aver scritto in un sito israeliano”. Per la cronista si era mossa l’Associazione nazionale dei giornalisti israeliani.
“La rete Al-Jazeera continua a sobillare la violenza intorno al Monte del Tempio” aveva scritto Netanyahu sulla sua pagina Facebook dopo l’escalation di tensioni e la morte di tre israeliani e quattro palestinesi il 21 luglio scorso. “Ho parlato più volte alle autorità giudiziarie per fare chiudere Al-Jazeera a Gerusalemme. Se ciò non potrà avvenire per un’interpretazione dei giudici, lavorerò per adottare la legislazione necessaria per espellere Al-Jazeera da Israele” aveva aggiunto il leader israeliano nel suo post. La tv satellitare al-Jazeera aveva risposto denunciando “accuse arbitrarie e dichiarazioni ostili”. “La rete ribadisce ancora una volta che continuerà a coprire le notizie e i fatti nei territori palestinesi occupati, e altrove, con professionalità e obiettività” si leggeva in una nota.
Tutto questo in un clima così teso da spingere la Foreign Press Association (Fpa, Associazione della Stampa estera) a presentare nei giorni scorsi una petizione alla Corte suprema del Paese, accusando la polizia locale di usare metodi violenti contro i giornalisti, ostacolando l’accesso dei media alla Città vecchia di Gerusalemme dove il mese scorso si sono verificati scontri e violenze.
L’associazione aveva affermato che la polizia aggredisce fisicamente e verbalmente i giornalisti, impedendo a vari media di entrare nella città vecchia, mentre i turisti accedono liberamente. Molti reporter erano stati costretti ad uscire dall’area, tra cui le troupe televisive della Rai e di Al Jazeera, ha raccontato Glenys Sugarman, direttore esecutivo di Fpa. Sinan Abu Maizer, cameraman di Reuters, sarebbe stato picchiato dalla polizia, riportando una contusione, mentre filmava gli scontri a Gerusalemme. Il comandante della polizia, Yoram Halevi, aveva replicato alle accuse spiegando che le restrizioni erano state imposte per la sicurezza dei giornalisti, arrivati in massa nella città il mese scorso per seguire i violenti scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti palestinesi sulla Spianata delle Moschee. Violenze iniziate in seguito all’istallazione, da parte del governo israeliano, di metal detector all’ingresso della Moschea di al Aqsa, dopo che, a metà luglio, due poliziotti erano morti in un attacco armato.