Lo aveva già scritto in una delle poesie di Sola andata: “La terraferma Italia è terrachiusa/ Li lasciamo annegare per negare”. Ora lo ripete, con il suo solito tono pacato, ma irremovibile: “Aiuterei le persone ad attraversare una frontiera e incito a farlo”.
Si può accusare Erri De Luca di molte cose, ma non di non essere coerente. Testardamente, caparbiamente porta avanti le sue idee in solitudine, smascherando spesso le ipocrisie che ci avvolgono quotidianamente. Con coraggio raro tra gli intellettuali italiani, non teme di prendere posizione. Lo aveva già fatto a proposito della Val di Susa, lo ripete oggi parlando dei migranti e lo fa in un momento in cui il ministro Marco Minniti ammette, in un’intervista al Fatto del 5 agosto, che la frontiera dell’Europa (e non dell’Italia) è nel Fezzan, nel sud della Libia. La “civile” Europa ha così delegato il lavoro sporco all’ex colonia italica, divisa, lacerata, in perenne conflitto dopo gli attacchi che hanno causato la morte di Gheddafi. Un paese dove i diritti umani sono quotidianamente violati e dove gli stranieri vengono, nel migliore dei casi, sfruttati. Questo è il modo di aiutarli a casa loro.
Lo fa mentre più di un politico italiano continua a ripetere di mettere l’esercito, sparare a chi arriva, affondare i barconi. Armiamoci e partite, come da italica tradizione, perché bisognerebbe invece consegnare un fucile a ognuno di questi fautori della violenza e dire loro: “Andate voi a sparare a quella gente, prendetevi la responsabilità di ucciderli, di invadere la Libia”. Saranno provocazioni, forse sì, ma allora se devo scegliere, scelgo quella di Erri De Luca, che è animata da umanità, da senso di solidarietà, fratellanza e cerca di abbattere confini e frontiere.
Tutte le frontiere, tutti i confini sono concepiti dall’uomo e dunque sono artificiali. “A chi interessano i confini?”, si chiedeva Victor Hugo. “Ai re”, era la risposta. Dividere per regnare. Un confine implica una garitta, una garitta implica un soldato. Non si passa, motto di ogni privilegio, di ogni proibizione, di ogni censura, di ogni tirannia. Da questo confine, da questa garitta, da questo soldato nascono tutte le calamità umane. “Chi dice confine dice legame, vincolo. Tagliate il legame, cancellate il confine, togliete il doganiere, togliete il soldato, in altri termini siate liberi: la pace verrà”.
Il confine crea lo straniero, quello di cui abbiamo bisogno per pensarci migliori. “Erano una soluzione quella gente”, scriveva Kavafis a proposito dei barbari. Servono a pensarci civili. Ci specchiamo in loro, per capire chi siamo, chi pensiamo di essere. “La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo” ha detto Nietzsche, ma tracciare un confine è più semplice che costruire un ponte e sono sempre di più gli uomini pronti a erigere un muro che a collegare due sponde. Eppure, di ponti abbiamo bisogno anche per guardare avanti. Il futuro, il nostro e quello degli altri, è su un’altra sponda: come raggiungerla? Con la coscienza. Con la coscienza e la responsabilità che dovremmo provare per chi viene dopo di noi. Sono questi i materiali che dobbiamo usare per costruire quel ponte.
Tra le montagne dell’Hindukush, nelle vallate nepalesi mi è più volte capitato di dovere attraversare esili ponti di corda a picco su un fiume. Gracili intrecci di fili ondeggianti, che mettono paura al passo e ti sospendono tra terra e cielo con la loro piccola forza. Che grande cosa sono quei ponti sospesi. Monumenti alla volontà dell’uomo di congiungere laddove la natura ha diviso. Di non arrendersi, di vincere il vuoto, di guardare al di là. Se non riusciamo a costruire ponti allora facciamoci contrabbandieri, come diceva il compianto Alexander Langer.
C’è modo e modo di pensare le frontiere. Quando Donald Trump afferma che “Le genti vogliono vedere delle frontiere”, pensa al muro per tenere al di là chi arriva dal Messico. E pensano ai muri anche l’ungherese Orban, l’israeliano Netaniahu e molti altri leader europei contemporanei. Li pensano e talvolta li realizzano. I muri trasformano le frontiere in confini. I muri proibiscono il passaggio, le frontiere lo regolano. “Dire di una frontiera che è un colabrodo, significa farle un complimento: essa è lì per filtrare” scrive Regis Debray. Le frontiere sono fatte per essere superate, la storia dell’umanità è una storia di contrabbando.
Marco Aime
Antropologo e scrittore
Diritti - 6 Agosto 2017
Migranti, io sto con Erri De Luca. Le frontiere sono fatte per essere superate
Lo aveva già scritto in una delle poesie di Sola andata: “La terraferma Italia è terrachiusa/ Li lasciamo annegare per negare”. Ora lo ripete, con il suo solito tono pacato, ma irremovibile: “Aiuterei le persone ad attraversare una frontiera e incito a farlo”.
Si può accusare Erri De Luca di molte cose, ma non di non essere coerente. Testardamente, caparbiamente porta avanti le sue idee in solitudine, smascherando spesso le ipocrisie che ci avvolgono quotidianamente. Con coraggio raro tra gli intellettuali italiani, non teme di prendere posizione. Lo aveva già fatto a proposito della Val di Susa, lo ripete oggi parlando dei migranti e lo fa in un momento in cui il ministro Marco Minniti ammette, in un’intervista al Fatto del 5 agosto, che la frontiera dell’Europa (e non dell’Italia) è nel Fezzan, nel sud della Libia. La “civile” Europa ha così delegato il lavoro sporco all’ex colonia italica, divisa, lacerata, in perenne conflitto dopo gli attacchi che hanno causato la morte di Gheddafi. Un paese dove i diritti umani sono quotidianamente violati e dove gli stranieri vengono, nel migliore dei casi, sfruttati. Questo è il modo di aiutarli a casa loro.
Lo fa mentre più di un politico italiano continua a ripetere di mettere l’esercito, sparare a chi arriva, affondare i barconi. Armiamoci e partite, come da italica tradizione, perché bisognerebbe invece consegnare un fucile a ognuno di questi fautori della violenza e dire loro: “Andate voi a sparare a quella gente, prendetevi la responsabilità di ucciderli, di invadere la Libia”. Saranno provocazioni, forse sì, ma allora se devo scegliere, scelgo quella di Erri De Luca, che è animata da umanità, da senso di solidarietà, fratellanza e cerca di abbattere confini e frontiere.
Tutte le frontiere, tutti i confini sono concepiti dall’uomo e dunque sono artificiali. “A chi interessano i confini?”, si chiedeva Victor Hugo. “Ai re”, era la risposta. Dividere per regnare. Un confine implica una garitta, una garitta implica un soldato. Non si passa, motto di ogni privilegio, di ogni proibizione, di ogni censura, di ogni tirannia. Da questo confine, da questa garitta, da questo soldato nascono tutte le calamità umane. “Chi dice confine dice legame, vincolo. Tagliate il legame, cancellate il confine, togliete il doganiere, togliete il soldato, in altri termini siate liberi: la pace verrà”.
Il confine crea lo straniero, quello di cui abbiamo bisogno per pensarci migliori. “Erano una soluzione quella gente”, scriveva Kavafis a proposito dei barbari. Servono a pensarci civili. Ci specchiamo in loro, per capire chi siamo, chi pensiamo di essere. “La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo” ha detto Nietzsche, ma tracciare un confine è più semplice che costruire un ponte e sono sempre di più gli uomini pronti a erigere un muro che a collegare due sponde. Eppure, di ponti abbiamo bisogno anche per guardare avanti. Il futuro, il nostro e quello degli altri, è su un’altra sponda: come raggiungerla? Con la coscienza. Con la coscienza e la responsabilità che dovremmo provare per chi viene dopo di noi. Sono questi i materiali che dobbiamo usare per costruire quel ponte.
Tra le montagne dell’Hindukush, nelle vallate nepalesi mi è più volte capitato di dovere attraversare esili ponti di corda a picco su un fiume. Gracili intrecci di fili ondeggianti, che mettono paura al passo e ti sospendono tra terra e cielo con la loro piccola forza. Che grande cosa sono quei ponti sospesi. Monumenti alla volontà dell’uomo di congiungere laddove la natura ha diviso. Di non arrendersi, di vincere il vuoto, di guardare al di là. Se non riusciamo a costruire ponti allora facciamoci contrabbandieri, come diceva il compianto Alexander Langer.
C’è modo e modo di pensare le frontiere. Quando Donald Trump afferma che “Le genti vogliono vedere delle frontiere”, pensa al muro per tenere al di là chi arriva dal Messico. E pensano ai muri anche l’ungherese Orban, l’israeliano Netaniahu e molti altri leader europei contemporanei. Li pensano e talvolta li realizzano. I muri trasformano le frontiere in confini. I muri proibiscono il passaggio, le frontiere lo regolano. “Dire di una frontiera che è un colabrodo, significa farle un complimento: essa è lì per filtrare” scrive Regis Debray. Le frontiere sono fatte per essere superate, la storia dell’umanità è una storia di contrabbando.
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Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - "La difesa di Matteo Salvini ha fornito nella memoria depositata una lettura non in linea con le risultanze probatorie". Sono iniziate con queste parole le repliche della procuratrice aggiunta di Palermo Marzia Sabella nel processo Open Arms, prima che i giudici si ritirino in Camera di consiglio. "Si sostiene nella memoria" depositata dalla difesa di Matteo Salvini "che l'autorizzazione allo sbarco dei minori" dalla nave spagnola Open Arms "non competeva al ministro ma alla prefettura" e questo "viene desunto da due esami testimoniali", dice. "Peccato che lo stesso prefetto di Agrigento di allora, Caputo, ha dichiarato in aula che l'autorizzazione allo sbarco provenisse dal ministro. Peccato che è lo stesso imputato a sostenere la competenza sui minori". . "I minori non erano più alla frontiera ma in acque nazionali- prosegue Sabella - quindi avevano diritto a sbarcare. Inoltre, si omette di dire che il Tribunale di Catania ha trattato la questione dei tempi dello sbarco dei minori e non del diritto".
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - Tra il pubblico all'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, dove oggi sarà emessa la sentenza del processo a carico di Matteo Salvini accusato di sequestro di persone e rifiuto di atti di ufficio, c'è anche il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Valditara. In aula anche il sottosegretario al lavoro Claudio Durigon e l'ex europdeputata leghista Annalisa Tardino.
Roma, 20 dic. - (Adnkronos) - A dicembre l'Istat rileva "segnali contrastanti" dagli indicatori di opinione degli operatori economici: infatti per il terzo mese di fila l’indice del clima di fiducia dei consumatori flette passando da 96,6 a 96,3; invece, l’indicatore composito del clima di fiducia delle imprese è stimato in aumento (da 93,2 a 95,3), tornando ad aumentare dopo due mesi consecutivi di calo.. Tra i consumatori, continua l'istituto, si evidenzia un peggioramento soprattutto delle attese sulla situazione economica del Paese e di quelle sulla disoccupazione, che si riflette in un calo del clima economico (da 97,8 a 96,1) e di quello futuro (da 93,8 a 93,3). Invece, Il clima personale registra un lieve aumento (da 96,2 a 96,4) e il clima corrente rimane sostanzialmente stabile (da 98,7 a 98,6).
Quanto alle imprese, l’indice di fiducia diminuisce nell’industria (nella manifattura cala da 86,5 a 85,8 e nelle costruzioni flette da 101,5 a 100,9) mentre aumenta nei servizi, seppur con intensità diverse tra i comparti: in particolare, l’indice sale decisamente nei servizi di mercato (da 93,9 a 99,6) mentre nel commercio al dettaglio registra un incremento marginale (l’indice passa da 106,8 a 106,9). Circa le componenti degli indici di fiducia del settore industriale, nella manifattura migliorano solo le attese di produzione e nelle costruzioni peggiorano entrambe le variabili.Nel comparto dei servizi di mercato, l'Istat osserva un’evoluzione positiva di tutte le componenti dell’indicatore; invece, nel commercio al dettaglio i giudizi sulle vendite migliorano ma le scorte di magazzino sono giudicate in accumulo e le attese sulle vendite diminuiscono.
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - "Se mollerò? Assolutamente no, in ogni caso". Così il vicepremier Matteo Salvini prima di entrare al bunker Pagiarelli di Palermo dove oggi sarà emessa la sentenza del processo che lo vede imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio.
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - "Avevo promesso di fermare l'immigrazione di massa e lo abbiamo fatto, abbiamo ridotto i morti in mare, abbiamo protetto gli italiani, abbiamo ridotto i reati, salvato vite, non mi aspetto una medaglia, ma qualunque sia la sentenza sono fiero di aver mantenuto le promesse fatte agli italiani e quindi entro in questa aula di tribunale fiducioso e orgoglioso". Così il leader della Lega e vicepremier, Matteo Salvini, prima di entrare nell'aula bunker del Pagliarelli, prima della sentenza del processo Open Arms che lo vede imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio.
Milano, 20 dic. - (Adnkronos) - “Il private equity svolge un ruolo cruciale nel panorama economico nazionale. Secondo le stime di EY, il numero di operazioni in Italia è cresciuto di circa il 20% rispetto al 2023. Tuttavia, le transazioni hanno avuto una dimensione media inferiore, circa 50 milioni di euro rispetto ai circa 80 dello scorso anno, il che ha portato a un volume totale investito inferiore del 25% rispetto all'anno precedente. Le attività di investimento si sono concentrate principalmente nei settori Industrial & chemicals (25%), Consumer (17%) e Technology (16%), che insieme rappresentano il 58% del totale”. Lo afferma Umberto Nobile, private equity leader di EY Italia, commentando i principali trend e sviluppi nel settore del private equity nei primi undici mesi del 2024 in occasione della cerimonia di premiazione della XXI edizione del Premio Claudio Dematté Private Equity of the Year. EY ha consegnato i premi per la categoria Buy Out a Fondo Italiano d'Investimento, per l’operazione Gruppo Florence, un progetto di build-up specializzato nella produzione di abbigliamento per i grandi brand del lusso e a Quadrivio Group per l’operazione Autry International, società che produce e distribuisce sneakers nel segmento del lusso accessibile.
"Come EY siamo fieri di contribuire a questa importante iniziativa che da anni valorizza e promuove il ruolo del Private Equity a supporto della crescita e della competitività delle imprese italiane. Questa sera vogliamo dunque confermare il nostro costante impegno nel supportare le aziende in questo percorso e celebrare i loro successi nell'ambito del private equity - spiega il private equity leader di EY Italia - Grazie al Premio Claudio Dematté, che da anni valorizza le migliori operazioni di private equity e Venture Capital, sono stati premiati i progetti che si sono distinti per la loro crescita, internazionalizzazione e l'implementazione di principi ESG, contribuendo significativamente al successo delle aziende in cui hanno investito".
Guardando al 2025, Nobile aggiunge: “I dati appena citati, e non solo, confermano che il private equity può rappresentare per il business un motore di crescita e innovazione, e grazie al suo supporto, si possono innestare processi virtuosi per rendere le aziende più resilienti, innovative, competitive e orientate ad una crescita sostenibile. Per il 2025 - conclude Nobile - ci aspettiamo una ripresa dell’investimento da parte dei fondi di private equity, frenati nel corso degli ultimi 18 mesi da incertezza geoeconomica e dagli alti costi del denaro, con la tipologia dei fondi cosiddetti di Special Situation che torneranno ad avere un’importante operatività in Italia”.
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - "Sono assolutamente orgoglioso di quello che ho fatto, ho mantenuto le promesse fatte, ho contrastato le immigrazioni di massa e qualunque sia la sentenza, per me oggi è una bella giornata perché sono fiero di aver difeso il mio Paese. Rifarei tutto quello che ho fatto e entro in questa aula orgoglioso del mio lavoro". Così il leader dell Lega e vicepremier, Matteo Salvini, prima di entrare all'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, dove oggi sarà emessa la sentenza del processo Open Arms che lo vede imputato con l'accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio per aver impedito lo sbarco di 147 migranti soccorso dalla ong spagnola nell'agosto 2019.