Fine dell'austerity. A dicembre scade la stretta triennale per i dipendenti e in vista non c'è nessuna proroga. Così il centralinista e l'usciere torneranno a prendere 136mila euro l'anno anziché 99mila, l'informatico 152mila anziché 106. Paradossi della politica: a decretare la fine dell'austerità è stato il Pd che l'aveva promossa
I dipendenti di Camera e Senato torneranno presto a incassare i loro stipendi d’oro, anche superiori al famoso tetto dei 240mila euro riservato ai dipendenti pubblici d’Italia messi a dieta dal governo Renzi: dal primo gennaio 2018 avremo ancora barbieri e uscieri da 136mila euro l’anno, elettricisti da 156mila euro e consiglieri parlamentari da ben 358mila euro l’anno, vale a dire stipendiati più di Mattarella o della Merkel.
La restaurazione dei privilegi è la morte dei tagli imposti dalla Boldrini nel 2014 sull’onda delle riduzioni imposte nel pubblico impiego. Le delibere dell’Ufficio di Presidenza sono state impugnate e nel 2015 la Commissione giurisdizionale e il collegio d’appello si sono pronunciati dichiarando che i tagli erano legittimi ma dovevano essere temporanei (come da giurisprudenza costante della Corte costituzionale), appunto valido per tre anni. Ecco perché il 31 dicembre 2017, senza una proroga, le riduzioni salteranno e si tornerà ai magnifici stipendi di cui sopra. La notizia è stata anticipata dal Messaggero e rimbomba nei palazzi ormai deserti causa vacanze. Si trova giusto un questore della Camera che allarga le braccia: “Spiace ammetterlo, ma è così”.
Tutto questo, ed è un punto centrale della storia, non avviene per mano di un giudice del lavoro ordinario ma di alcuni deputati. L’autodichia della Camera rimette la competenza sulle cause a organi interni come la Commissione giurisdizionale per il personale, organo che in questa legislazione è formato soltanto da deputati Pd. Nello specifico Francesco Bonifazi, Fulvio Bonaviticola ed Ernesto Carbone, sono rispettivamente presidente, relatore e componente effettivo di quel “tribunalino” interno che ha sposato la causa dei dipendenti della Camera mostrandosi sensibili alle loro doglianze al punto di andare contro le decisioni della Camera stessa: sono tutti del Pd ma lo è anche la norma contestata, fortemente voluta e difesa dalla vice presidente della Camera Marina Sereni (Pd).
Dem contro dem, insomma e non una ma due volte perché il collegio dei questori della Camera ha fatto ricorso e per la seconda volta i deputati l’hanno rigettato, ribadendo la temporaneità dei tagli. “Fu l’unica soluzione”, spiega un membro della commissione “perché la delibera di presidenza stabiliva un adeguamento ai tagli del pubblico impiego dove però gli incarichi dirigenziali sono temporanei, mentre i dipendenti della Camera hanno meccanismi di progressione stipendiale non legati all’incarico e disciplinati dal concorso che hanno fatto per l’immissione in ruolo”. Idem per i sottotetti che – a differenza che nella pa – furono imposti al resto del personale non dirigente (falegnami, commessi, assistenti, segretari…) per evitare che arrivassero al livello dei dirigenti decurtati.
“E’ un bel pasticcio”, commenta ora uno dei questori. “Non so come e se si riuscirà a correre ai ripari”. Anche se la Camera prorogasse i tagli, infatti, “i dipendenti faranno ancora ricorso e gli daranno ancora ragione e toccherà dargli indietro tutte le somme con anche gli interessi”. Ora si tratta di capire se esista una via d’uscita. Di sicuro non c’è molto tempo per trovarla. I tempi li detta la formazione del bilancio. Entro il 30 settembre l’amministrazione della Camera deve fornire al Collegio dei questori le previsioni tendenziali di entrata e uscita per ciascuno capitolo ai fini della predisposizioni di quello di previsione per l’anno prossimo. Ma il Parlamento riaprirà il 12 settembre dopo 40 giorni di ferie. Dunque il tempo utile per trovare la via d’uscita si riduce a una ventina di giorni. Sempre che qualcuno davvero la cerchi.
Fonti vicine alla Presidenza fanno notare infatti che la Commissione giurisdizionale per il personale ha decretato che la temporaneità delle riduzioni coincidesse con la scadenza della legislatura. Il che significa che “il nuovo eventuale tetto dovrà essere stabilito dall’Ufficio di Presidenza della prossima: l’attuale è impedito a farlo da questa pronuncia”. Circostanza che rende inesatto dire che “la Camera ripristina gli stipendi”, come si è letto. Perché deciderlo spetterà ai prossimi organismi politici che la guideranno. Con immensa gioia dei 2mila dipendenti.