E se prima di dire la nostra su un articolo o un testo online ci fosse imposto un quiz che verifichi il livello di comprensione raggiunto? Se lo è chiesto la Norvegia, o meglio un’emittente radio televisiva norvegese. E poi ha anche applicato questo principio in versione sperimentale. E’ la seconda buona idea ascoltata in questi mesi per il monitoraggio dell’informazione sul web. Questa volta, però, sotto la lente d’ingrandimento sono finiti i lettori.
Secondo l’articolo di Tpi News (che ha rilanciato una notizia circolata già a marzo), il sito dedicato alla tecnologia dell’emittente governativa norvegese NRK ha escogitato un sistema per neutralizzare i leoni da tastiera. “Ogni utente che vorrà commentare – si spiega – dovrà prima rispondere a un breve quiz per dimostrare di aver compreso il contenuto dell’articolo”. Basta collegarsi al sito Nrkbeta per verificare: alla fine di alcuni pezzi, c’è la domanda di rito: “Vuoi commentare? Rispondi al quiz sull’argomento”.
E’ un primo passo per affrontare una delle piaghe del millennio: le persone leggono, ma non comprendono ciò che c’è scritto. Da anni ci sono studi che lo raccontano. L’ultimo, targato Ocse-Piaac, ci colloca agli ultimi posti in Europa e nel mondo. Le statistiche precedenti parlano di un problema che affligge almeno sette italiani su dieci. Non sarebbe un problema per l’informazione se le conseguenze fossero circoscritte all’ambiente domestico (sulle implicazioni nella cabina elettorale si era già espresso Tullio De Mauro). Ma online non ci sono argini.
C’è chi si ferma al titolo, chi alle prime righe, chi scorre i testi velocemente e chi invece, nonostante non si perda neanche una virgola, semplicemente non capisce. E’ una guerra impari, che esiste indipendentemente dal web ma che con il web è inevitabilmente amplificata: come si può pretendere che chi non capisce cosa legge capisca di non capire cosa legge? Imporre il silenzio, poi, è impensabile (e anche incostituzionale).
Il rischio, però, è che l’informazione inizi ad auto-censurarsi, che i giornali si ritrovino costretti ad adeguarsi e dedicarsi solo al bianco e al nero, dimenticandosi le sfumature, per il timore che chi legge fraintenda – o peggio strumentalizzi – il messaggio che si sta mandando.
Nella lunga diatriba su come arginare le fake news, è stato proposto di tutto: leggi, controllo con algoritmi, autorità che dovrebbero setacciare il web, censura di siti e blog, abolizione dell’anonimato, esclusione dai finanziamenti pubblici. Misure a danno di chi con le notizie ci lavora.
Nessun accenno alla necessità di migliorare l’insegnamento, l’istruzione, di potenziare la formazione dello spirito critico del lettore, di diffondere la cultura del dubbio e di verificare che chi legge sia davvero in grado di comprendere il contenuto. Nessuno che abbia detto: “Cari lettori, non fermatevi al titolo. Leggete, approfondite, verificate”.
Soprattutto, calmatevi. La soluzione norvegese, si spiega ancora, è stata ideata anche per far sì che gli animi indignati e infervorati (magari giustamente) si plachino e per lasciare spazio alla lucidità. “Lascia che ciò che hai letto si sedimenti – mi diceva un vecchio maestro. Solo quando si sarà trasformato in stabili fondamenta, costruiscici un capolavoro”. Forse sarà riduttivo, ma direi che può valere anche per un commento online. Magari, chissà, potrebbe nascerne un confronto costruttivo.