I fondi per i sordi ci sono, ma lo Stato sembra cieco. Nel decreto Mezzogiorno approvato a fine luglio c’è una norma di poche righe che finanzia le scuole per sordi, ma due su tre hanno chiuso i battenti da anni. Il paradosso c’è tutto ma è figlio degli espedienti cui ricorre la politica per risolvere i guasti crea. Li si rintraccia in un emendamento di poche righe alla legge sotto il cappello delle misure di “contrasto della povertà educativa minorile e della dispersione scolastica nel Mezzogiorno”. Tramite due commi all’articolo 11, il 4 bis e 4-ter, passati nel voto finale del 26 luglio scorso introduce un contributo biennale di un milione di euro agli istituti per sordi d’Italia. La firma è dei senatori dem Francesco Russo e Giorgio Santini nonché Rosetta Blundo (M5S) che in commissione scrivono e riscrivono quel testo per garantire con un milione di euro il funzionamento degli “istituti atipici” e il corretto sviluppo dei processi cognitivi dei bambini sordi. A beneficio degli istituti per sordi di cui all’art. 67, comma 1, del d.lgs 297/1994, che in base alla disposizione richiamata sarebbero poi quelli di Roma, Milano e Palermo. Dunque uno solo dei tre è al Sud, anche se il decreto si chiama “Mezzogiorno”, ma il punto è un altro: due istituti su tre sono chiusi, anche se il legislatore sembra non essersene accorto e apparentemente li finanzia lo stesso. Nel dettaglio.
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- Il Pio istituto dei Sordi di Milano ha 163 anni di vita gloriosa alle spalle ma non fa più attività didattica perché l’ha chiusa nel 1994. Inoltre, con deliberazione della Giunta Regionale n. 29421 del 13 novembre 1992, l’Istituto ha modificato il proprio assetto istituzionale ritornando alla originaria natura giuridica privata. In base allo Statuto approvato l’8 maggio 2014 è una Fondazione. In ogni caso non un ente pubblico.
- L’Istituto per sordi Padre Annibale di Palermo ha chiuso la scuola negli anni 90 del secolo scorso e ha poi proseguito un’attività da centro educativo diurno con assistenza scolastica integrativa nel pomeriggio, ma fino al 2016 , quando ha chiuso definitivamente le proprie attività. Ne hanno dato ampia notizia i media siciliani, anche perché la chiusura dei cancelli ha lasciato per strada 113 disabili sensoriali e 33 dipendenti.
- L’Istituto statale per sordi di Roma(Issr) ha esaurito dal 1 settembre del 2000 – cioè 17 anni fa esatti – la sua attività scolastica in senso stretto perché distaccata giuridicamente all’istituto di Magarotto. Da tempo non riceve fondi pubblici e rischia di chiudere. Dopo anni di commissariamento oggi è sull’orlo della chiusura.
Potevano i parlamentari tutti non sapere? Certo, anche se l’Ufficio Studi della Camera aveva rilevato il controsenso di quella norma che dirotta un milione di euro su istituti chiusi. “Finanziare enti o istituti che aiutino l’inclusione sociale dei bambini sordi è meritorio”, accusano i deputati di Alternativa Libera. “Ma elargire delle mance, camuffandole come interventi educativi urgenti nelle regioni del Mezzogiorno è una presa in giro bella e buona. Se fra i tre istituti che dovrebbero beneficiare dello stanziamento l’unico che si trova al Sud, a Palermo, ha chiuso la propria attività nel 2016, di che razza di intervento a favore del Mezzogiorno si tratta? Roma e Milano sono state spostate in Calabria e in Sicilia? Se quegli istituti hanno veramente bisogno di essere finanziati si trovi un altro provvedimento per farlo”.
A svelare l’arcano è il primo firmatario Russo, pedagogo e relatore della legge sulla lingua dei segni. “E’ vero, due scuole su tre sono chiuse, quelle di Milano e Palermo. Ed è vero che il finanziamento in realtà è diretto alla sola rimasta aperta, quella del Nomentano a Roma che in effetti non è proprio al Sud. Il fatto è che è un’eccellenza nel mondo della sordità ma versa in grandi difficoltà a causa di anni di commissariamento e della mancata riscrittura di un regolamento da parte del Miur che si attende da 20 anni e nelle cui more lo Stato non versa più fondi da anni. E ora ci sono una ventina di stipendi a rischio”. Così è arrivato l’emendamento ad hoc che non a caso non fa riferimento alla ripartizione delle risorse. “Tecnicamente andava scritto così perché la norma fosse generale ma di fatto era finalizzato a questo istituto, in accordo col ministero”.
A seguire tutta la storia si scopre come l’istituto per sordi che la politica oggi vuol salvare in realtà sia stato condotto al fallimento proprio dall’inerzia della politica e dalla burocrazia. Nel 1997 la Legge Bassanini (L.59/1997) classificò la scuola come “ente atipico”. La funzione scolastica venne staccata dall’istituto. Si stabilì la sua trasformazione in “ente nazionale finalizzato al supporto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche”. Un cambiamento che avrebbe dovuto essere sancito da un regolamento del governo, che nominasse un comitato direttivo, sbloccando i finanziamenti. Approvato dal Consiglio dei ministri ed emanato dal presidente della Repubblica nel 2003, venne tuttavia bloccato dalla Corte dei Conti. Da allora, la procedura si è arenata. Da circa 15 anni l’istituto è rimasto in un limbo: né ente nazionale, né scuola.
Finora è campato con gli affitti dei locali del plesso di via Nomentana: alcune scuole, come l’Isiss Magarotto, che si occupa dell’educazione bilingue, l’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione e una ventina di associazioni. Ma il grosso erano i canoni degli assessorati della Provincia ora trasferiti all’Eur così che le entrate coprono il 25% del bilancio e l’Issr rischia infatti di chiudere, sospendendo i servizi offerti gratuitamente alle persone sorde, per mancanza di fondi. Dopo ripetuti appelli al governo, i lavoratori e i dirigenti dell’istituto il 27 aprile hanno organizzato un sit-in di protesta davanti alla sede del Ministero dell’Istruzione.
Non la prendono bene le altre associazioni che si occupano di didattica e sordità. Ad esempio Rossano Bartoli, segretario generale della Lega del Filo D’Oro, l’associazione che da 53 anni si occupa della riabilitazione e reinserimento delle persone sordo/cieche che una scuola paritaria ce l’ha davvero, tanto che ogni anno offre formazione a circa 50 ospiti del centro di riabilitazione di Osimo (An) in età dell’obbligo. “Quando ho letto la norma – spiega Bartoli – ho subito pensato che solo l’istituto di Palermo è a Sud e come quello di Milano ha chiuso anche i battenti. Che era tutto un espediente per far defluire risorse a quella di Roma. Avevo penato anche di far qualcosa perché venisse modificato l’emendamento in modo estensivo”. Poi è mancato il tempo, dice. “Chiaro che se quei fondi fossero stati resi disponibili tramite un bando avremmo concorso. Ma evidentemente erano diretti a una sola scuola, rivestiti da finanziamento per tre. Peccato”.