La professoressa Albina Colella aveva svolto uno studio sulle acque affiorate vicino a qualche chilometro di distanza da un impianto gestito da Eni. E la multinazionale aveva chiesto oltre 5 milioni di euro di risarcimento danni. Il tribunale ha dato ragione alla docente, condannando il Cane a Sei Zampe per lite temeraria
Lei, professoressa universitaria di geologia, aveva fatto degli studi. E ne aveva parlato in televisione, anche durante trasmissioni trasmesse a livello nazionale. Le ipotesi scientifiche di Albina Colella, ordinaria all’università della Basilicata, riguardavano le acque sotterranee ricche di idrocarburi, gas, metalli e tensioattivi che 6 anni erano affiorate in Contrada la Rossa, a Montemurro, a poco più di 2 chilometri dal pozzo di reiniezione di scarti petroliferi di Costa Molina 1 in Val d’Agri. E le acque – sosteneva la professoressa – mostravano diverse affinità con i reflui di scarto petrolifero.
Gli avvocati di Colella, Giovanna Bellizzi e Leonardo Pinto, hanno spiegato che la sentenza stabilisce il diritto all’informazione in materia ambientale e riconosce la valenza costituzionale della libertà di opinione: “Non vi è dubbio che la divulgazione dei risultati della ricerca costituisca legittima espressione del diritto di libertà di manifestazione del pensiero, sancito dall’art. 21 della Costituzione, e di libertà della Scienza garantita dall’art. 33 della Costituzione, senza limiti e condizioni”, si legge nel testo con cui il tribunale ha dato ragione alla professoressa. Non solo: perché vista la somma richiesta dalla multinazionale, sganciata da qualsiasi parametro che regola il risarcimento in materia, hanno spiegato i legali, Eni è stata anche condannata per lite temeraria.