Qualcuno si fida di Marco Minniti, l’uomo che ha implementato in politiche attive il precetto salviniano-renziano sull’immigrazione “aiutiamoli a casa loro”?
Il Lex Luthor formato mignon, designato il 12 dicembre 2016 ministro dell’Interno nell’appena costituto governo Gentiloni e subito messosi all’opera per la riapertura e l’aumento dei Centri di identificazione ed espulsione dei migranti (Cie), seguiti dal raddoppio delle espulsioni.
Un muso duro – quello dell’ex Lothar di scuola dalemiana – che ha messo in agitazione lo stesso Matteo Renzi, in quanto concorrenziale rispetto alla propria sofferta strategia per riconquistare la suprema poltrona a Palazzo Chigi: scippare il bullismo forcaiolo delle opposizioni in materia di respingimenti, nella presunzione di intercettare con proclami tra il western e lo spara-spara i consensi dell’elettorato più manipolabile; ormai in preda agli effetti terrorizzanti della propaganda da paura delle invasioni prossime-future. Per cui, se Salvini e Grillo strepitano a uso e consumo della piccola gente che hanno convinta della mutazione dell’Italia in un immenso Bronx di stupri e aggressioni, la pasdaran renziana Patrizia Prestipino, neo-responsabile della commissione famiglia Pd, porta combustibile alla linea incendiaria del boss proclamando l’impegno della sua parte nella “difesa della razza”. Come un Giorgio Almirante 1938, quando costui divenne segretario di redazione dell’omonima testata; nell’Italia fascista delle leggi razziali, poi della collaborazione diretta all’Olocausto nazista.
La tragedia che oggi a Roma si ripropone sotto forma di farsa, mentre il Mediterraneo si trasforma in bara collettiva. Una tragedia umana (che la cialtronesca ironia macabra del direttore de il Foglio si permette di irridere “estremismo umanitario”) in cui l’orrore delle morti seriali si specchia nelle ignobili furberie di carrieristi senza scrupoli. Mentre troppi aspetti in ombra restano ancora tali: per quale motivo e a fronte di quali contropartite il governo Renzi, dopo la chiusura del programma italiano di salvataggi “Mare Nostrum” e l’avvio di quello europeo “Triton”, pretese che tutti gli sbarchi provenienti dall’altra sponda mediterranea avvenissero nei nostri porti? Non certo soltanto per il servizio assicurato al ministro Alfano, nei suoi ritorni a casa, degli elicotteri di Frontex (l’agenzia Ue per le frontiere e la guardia costiera).
Insomma, l’intera questione resta avvolta in un’immensa bolla di “non detto”, in cui dovrebbe indurre a qualche sospetto la matrice di strabordante cinismo rappresentata dalla scuola di Massimo d’Alema, nella cui stagione di primo ministro il suddetto Minniti operò da portaborse in compagnia di personaggetti tipo Claudio Velardi e Fabrizio Rondolino; quelli dal cranio rasato come Lothar, il servo di colore nei fumetti del mago Mandrake.
Con questi precedenti l’attuale ministro dell’Interno si è molto dato da fare, magari per accumulare dividendi politici a futura memoria, in un crescendo culminato nel codice di comportamento per il soccorso in mare che rende le Ong bersaglio di una campagna diffamatoria, trasformandole – da meritorie organizzazioni dedite a salvare e curare disinteressatamente – nel mostro da sbattere in prima pagina. In modo da distrarre dal vero obiettivo dell’agitarsi del Minniti in carriera: sigillare le porte del lager libico, in modo da affiancarlo a quello turco per raggiungere la soluzione finale del problema rappresentato dalle attuali migrazioni di popoli. Non disegni politici, a misura di una tragedia epocale, bensì il mix comunicazione mendace virtuale e campi di concentramento materiali. Il vero significato della promessa di “aiutarli a casa loro”: l’incatenamento.
Progetto comunque destinato a fallire, vista l’entità del fenomeno in gioco. Ma – sia chiaro – non per colpa dei maneggioni nostrani ed europei. Bensì per le malfamate organizzazioni denominate Save the children, Médecins sans frontières e magari la sempre reproba Emergency.