L'imprenditore barese Vito Giuseppe Giustino era finito agli arresti domiciliari. Adesso il giudice ha disposto solo il divieto di dimora a L'Aquila: esigenze cautelari affievolite perché si è dimesso dal cda. In una telefonata, secondo il gip, rideva per i probabili affari. Lui in interrogatorio ha chiarito: "Mai successo"
Ha riottenuto la libertà Vito Giuseppe Giustino, l’imprenditore barese arrestato lo scorso 19 luglio per le presunte mazzette in appalti pubblici gestiti dai Beni culturali d’Abruzzo nel post sisma della scorsa estate nelle regioni del Centro Italia. Il gip del Tribunale dell’Aquila ha revocato gli arresti domiciliari, imponendo per Giustino solo il divieto di dimora nella città abruzzese.
Secondo il giudice, le esigenze cautelari sono attenuate poiché l’imprenditore si è dimesso dal consiglio d’amministrazione della cooperativa coinvolta nel presunto appalto truccato. I pm infatti lo accusano di turbativa d’asta relativa all’appalto vinto dalla cooperativa L’Internazionale, del quale era presidente del cda, per i lavori del teatro comunale de L’Aquila. Nelle scorse settimane, aveva chiarito durante l’interrogatorio di non aver mai riso al telefono della tragedia del terremoto, come invece ritenuto dai magistrati sulla base del contenuto di alcune intercettazioni.
L’inchiesta conta 35 indagati tra funzionari pubblici, professionisti e imprenditori ed è coordinata dal procuratore capo Michele Renzo e dal pm Antonietta Picardi. Tra le intercettazioni, sostengono i magistrati, ce n’è una tra Giustino e il geometra della sua stessa ditta, Leonardo Santoro. Durante il colloquio telefonico, l’imprenditore barese avrebbe riso del racconto incentrato sulle possibilità di partecipare alla ricostruzione.
Nell’ordinanza del gip Gargarella si sottolinea che le condotte poste in essere da alcuni funzionari pubblici, inseriti nell’ambito del Segretariato Regionale del Mibact dell’Abruzzo, i quali, ricoprendo varie funzioni e ruoli nel contesto dell’assegnazione e controllo sulle opere di restauro successive al sisma del 2009, “avrebbero gestito le gare in maniera clientelare, attribuendo incarichi professionali a parenti ed amici“.