Uno dei fatti temporalmente coincidenti con la decisione (per me intempestiva e immorale), presa nell’afa pre-ferragostana dal governo Gentiloni, di rimandare l’ambasciatore italiano al Cairo è ampiamente noto e se ne parla altrove sul portale del Fatto Quotidiano. Mi riferisco all’inchiesta del New York Times sull’uccisione di Giulio Regeni.

La seconda coincidenza temporale è meno conosciuta. Ha a che fare con la Libia, con la violazione dei diritti umani in quel paese e col ritorno dell’ambasciatore.

Il 15 agosto la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto per crimini di guerra nei confronti di Mahmoud el-Wefelli, comandante della brigata Al-Saiqa, le Forze speciali affiliate all’Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar. Quello che dobbiamo blandire. Dopo Serraj e le tribù della frontiera sud, è la “terza Libia” che ancora ci sfugge.

Cercare di trovare un accordo, attraverso il suo sponsor egiziano, col generale della Cirenaica – sì, quello che giorni fa minacciò di bombardare le navi italiane – per poter portare avanti senza intoppi né ritardi la collaborazione con la Libia al fine d’impedire le partenze di migranti e richiedenti asilo verso l’Italia: questo è uno dei principali moventi della decisione annunciata dal ministro degli Esteri, Angelino Alfano, il 14 agosto.

Una decisione pensata da mesi, programmata per settembre (così si era impegnato col presidente egiziano al-Sisi il senatore Nicola La Torre) e che però è stata anticipata prendendo a pretesto il periodico comunicato di reciproca soddisfazione delle procure di Roma e del Cairo, relativo a qualche altra carta arrivata dall’Egitto e ora da tradurre dall’arabo.

Trasparentemente, il governo Gentiloni dovrebbe dire che l’ambasciata del Cairo torna a ranghi completi per ragioni d’interesse nazionale (la Libia, il petrolio, il terrorismo, il turismo ecc). E aggiungere, sempre per trasparenza, che la difesa dei diritti umani non rientra in quell’interesse nazionale, neanche quando si tratta di quelli di un cittadino italiano ucciso in modo barbaro (e figuriamoci quando si tratta dei tanti egiziani che fanno la stessa fine ogni anno).

In maniera altrettanto trasparente, il governo italiano dovrebbe dire che tra l’amicizia con Abdel Fattah al-Sisi e Khalifa Haftar e la verità per Giulio Regeni, ha deciso cosa è più importante e da che parte stare.

Tutto come prima, allora. Il governo del Cairo sentitamente ringrazia. Non pochi anche in Italia.

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