“Io la tua presidente della camera la farei inculare dai suoi amici clandestini che protegge tanto” (Rosangela Federici); “Boldrini se ci fosse la rivoluzione saresti la prima a crepare..grandissima puttana“ (Francesco Teora): “Spero che tutti sti immigrati ti si violentano a gruppi e poi ti buttino dentro l’acido zoccola appare ti piacerà anche chissà quanti ne hai ogni sera a farti sfondare il culo troia” (Alessio Sacchetti); “Faccia di cazzo ti rendi conto quanta gente ti odia è arrivata l’ora che ti togli dal cazzo italiano e sali sul cazzo nero che tanto hai voluto. Maledetta“ (Daniele Di Lernia). Questi sono solo alcuni dei commenti pubblicati sul proprio profilo Facebook e resi noti dalla presidente della Camera Laura Boldrini, che per la prima volta pubblicamente ha deciso di far valere i suoi diritti nelle sedi opportune, cioè, eventualmente, di ricorrere alle vie legali, e farlo “come donna, come madre e come rappresentante delle istituzioni“. Boldrini argomenta la sua scelta, se mai ci fosse davvero bisogno di argomentarla, dicendo che “lasciar correre significa autorizzare i vigliacchi a continuare con i loro metodi e non opporre alcuna resistenza alla deriva di volgarità e violenza“, mentre tutelare la propria persona è anche un modo per dimostrare ai propri figli che “in uno Stato di diritto chiunque venga aggredito può difendersi attraverso le leggi”.
Sono riflessioni che onestamente colpiscono per la loro appropriatezza e profondità: giusto che Boldrini si difenda anzitutto come donna, perché è innanzitutto il genere a essere preso di mira: se fosse stata un uomo avrebbe ricevuto attacchi simili? Giusto che citi la sua condizione di madre, perché chi è vittima di questa violenza verbale è spaventata prima per i propri figli e poi per se stessa e ha il diritto e il dovere di difenderli; corretto, infine, che citi il suo ruolo istituzionale, perché sono anche le istituzioni che vanno tutelate da questa ondata di odio. Anche la scelta di non lasciare i social “perché nessuno deve essere costretto ad abbandonare i social network per l’assalto dei violenti” e perché “il web è uno spazio troppo importante per lasciarlo nelle mani dei violenti” è corretta e insieme coraggiosa. Perché io non oso davvero immaginare in che condizione psicologica debba ritrovarsi una donna che riceva ogni giorno una valanga di insulti di violenza inaudita. A me, che pure faccio la giornalista e non mi scompongo davanti a centinaia di critiche rivolte a un articolo, basta solo una minaccia di morte per essere sopraffatta dalla paura, dal terrore, dal timore che la mia famiglia possa essere colpita.
Di fronte alla gravità di quanto è accaduto e sta accadendo (e anzi, di sicuro, la responsabilità di molti tra di noi – tra cui io stessa – è di non aver denunciato prima questi attacchi), non ha nessun senso né è di alcuna utilità spiegare la propria posizione rispetto alle scelte politiche della Boldrini o rispetto alle sue decisioni in quanto presidente della Camera. Non voglio dire, in questo frangente, cosa penso di lei come parte della classe politica perché, appunto, le critiche qui non c’entrano assolutamente nulla. Si tratta solo di difendere una persona che ha subito un attacco, proprio come un passante aggredito con un coltello da qualcuno. E invece, incredibilmente, chi l’ha sempre criticata e attaccata interviene in questo caso portando a parziale giustificazione della violenza in rete proprio la sua presunta incapacità come leader politico: legittimando in questo modo la violenza, ma soprattutto giustificando persone che scrivono commenti come quelli che avete letto sopra, ovvero gente che si qualifica da sola. Sto parlando di giornalisti che anche in simili situazioni – ma io mi chiedo cosa farebbero se le loro mogli e compagne e figlie fossero destinatarie di tali insulti: io credo che avrebbero già sguinzagliato uno stuolo di avvocati – continuano a rivendicare la loro scorrettezza politica, quasi che difendere una persona da un’aggressione fosse qualcosa di vergognosamente politicamente corretto.
Penso ad esempio a Filippo Facci che, dalle colonne di Libero, sostiene che Boldrini sia insopportabile in una maniera del tutto specifica, tanto da attirarsi non solo un livore fisiologico, ma molto di più (quello che appunto avete letto). Insomma qui si tratta di “una partita che gli odiatori della Boldrini giocano da soli e a cui non corrisponde una squadra avversaria di pari livello”. Dunque la soluzione dovrebbe essere non tanto la denuncia di gente che deve essere trascinata in tribunale (com’è sacrosanto), ma la sua sparizione definitiva dalla circolazione, proprio perché “è percepita come un’imbucata senza titolo, la classica miracolata che smuove risentimenti, l’essenza della casta percepita e della rappresentanza che poco rappresenta”. Insomma se la gente la chiama “troia” o “puttana” e vuole scioglierla nell’acido, la colpa è sua. E, tra l’altro, dovrebbe sentirsi fortunata visto che altre persone non hanno il potere di fare “tanto baccano”.
Un’identica argomentazione le viene rivolta, su Il Giornale, da Nicola Porro, secondo cui gli strumenti che la Boldrini ha per difendersi “sono ben superiori a quelli dei comuni mortali”, mortali che, secondo il giornalista, le pagherebbero avvocati, consulenti, uffici stampa e polizia postale. L’argomentazione di Porro è totalmente demagogica, di quelle anticasta da quattro soldi, ma serve abilmente a spostare l’attenzione dalla gravità degli attacchi al tema, del tutto inutile e secondario, di chi pagherà i suoi avvocati. Porro sostiene inoltre che non è vero che la sua battaglia sia per tutti, come Boldrini scrive, perché i poveracci non avrebbero gli strumenti per farla, visto “che là fuori è pieno di cittadini normali che in parte soprassiedono e talvolta provano a denunciare e anche centinaia di politici che hanno subito il trattamento Boldrini nel silenzio più generale degli opinionisti e dei compiaciuti che nel proprio circolato possono dire di aver sputato sulla Casta“. Io credo invece che se un rappresentante delle istituzioni di tale importanza comincia a denunciare e pubblicare i messaggi ricevuti e dire apertamente che saranno denunciati compia un’operazione importantissima per tutte le donne e gli uomini del paese. Tutti dovrebbero farlo, e a voce alta, perché non passi il messaggio che si può augurare via web la morte a una persona e non essere puniti. Se Porro facesse poi una piccola ricerca sulle denunce dei politici credo che troverebbe più gente armata di avvocati che poveri agnellini che subiscono in silenzio trattamenti come quello Boldrini (molti, anzi, hanno talmente la denuncia facile che a noi giornalisti ci querelano un giorno sì e uno no, tanto restano impuniti perché da noi querelare per intimidazione non è reato).
In conclusione, oggi non ci servono tanto i comunicati stampa dei vari deputati del Pd, né gli articoli dei giornalisti iper politicamente corretti come Beppe Severgnini (che pure, va detto, sulla questione ha scritto una riflessione molto bella su Il Corriere della Sera). Oggi ci serve che gli avversari politici della Boldrini – a proposito, meglio non commentare il vergognoso tweet di Francesco Storace che ha scritto “La Boldrini denuncerà chi la insulta sulla rete. Si potrà farlo solo per strada” – e tutti i giornalisti a tutti i costi politicamente scorretti e da sempre critici verso di lei la difendano apertamente. Proprio per marcare la differenza abissale che c’è tra la critica e l’odio, tra attaccare una scelta politica e augurare la morte. Invece molti dei nostri opinionisti la differenza non la colgono proprio, tanto che continuano a usare come argomentazione che spieghi tanto odio proprio le scelte della presidente della Camera. Mi dispiace, ma no, non c’entrano nulla.
Qualsiasi cosa Boldrini avesse fatto, sarebbe stata attaccata ugualmente. Forse perché, come ha scritto in un bell’articolo Giulio Cavalli su Linkiesta, lei è una donna di potere, ma senza partito che non tace (e non importa, ripeto, se si sia d’accordo o meno con ciò che dice). Nel paese dove ancora le donne sono uccise, picchiate, ridotte in semischiavitù – altro che parità, altro che imprenditrici da copertine patinate, quella è l’Italia dei mass media – una simile figura non può che rappresentare il bersaglio perfetto per una parte – dico una parte, una parte sola – degli uomini, e ahimè donne, italiani. Chi non lo capisce e continua a scrivere articoli a metà tra critica e attacco personale non fa che peggiorare le cose. Non solo per lei, ma anche per le proprie mogli e compagne.