“A questo punto speriamo che non si perda tempo. Lo scorso anno, con NAlbero, siamo andati in affanno. Abbiamo lavorato con tempi risicatissimi”. Pasquale Aumenta, patron di Italstage, l’azienda che per il secondo anno consecutivo si è aggiudicata la gara per una installazione natalizia sulla rotonda Diaz, a Napoli, gongola. Dopo l’abete di tubi Innocenti, ecco il Corno gigante. “Sarà bello, rivestito di panelli rossi in pvc e, di sera, illuminato da luci dello stesso colore. Si chiamerà semplicemente Corno, in italiano”, dice Aumenta, che aggiunge, “misurerà sessanta metri, anche se la misura precisa sarà decisa considerando la larghezza della base. Le terrazze saranno su tutti i versanti e le più alte saranno a circa 35 metri. Ci sarà l’ascensore per salire e scendere”. Un enorme corno rosso che si vedrà da Capri e che diventerà il simbolo della città per il prossimo Natale. Nessuna archistar chiamata all’impresa.
Ad occuparsene è Italstage che oltre a realizzare, fra gli altri, il palco di Vasco Rossi a Modena, quello per i Rolling Stones a Lucca e ancora quelli dei Depeche Mode e di Tiziano Ferro, si sta specializzando in istallazioni pseudo artistiche. Già, perché sul fatto che il corno non abbia l’ambizione di essere un’opera d’arte, nessuno può avere dubbi. E’ probabile non li abbia neppure il sindaco Luigi De Magistris, nonostante nel bando di gara fosse scritto che “Tra le scelte strategiche dell’amministrazione comunale figura l’incremento e lo sviluppo del turismo mediante la diffusione della conoscenza e la valorizzazione della città di Napoli e del suo patrimonio artistico-culturale”.
Il corno nulla ha a che fare con la “valorizzazione” di Napoli: è semplicemente un’operazione commerciale. O meglio, lo diventerà se alla fine dell’evento si saranno registrati almeno gli stessi numeri del NAlbero: 220mila visitatori, dei quali 71mila paganti. Per ora, l’unica certezza riguarda i costi dell’operazione, circa un milione di euro. La circostanza che siano a carico di Italstage non sembra un elemento a favore dei sostenitori dell’opera. Tra i quali non figura Italia nostra, che ha scritto al ministro Franceschini per scongiurare l’edificazione del super corno. Per evitare che si perpetri un consumo alienante del paesaggio.
La scaramanzia va bene, è folklore. Di più, fa parte della storia di Napoli. Quindi nessun stupore per la decisione di alzare sul lungomare un fuoriscala dedicato al più famoso antidoto alla jella. Il problema non è questo, ma il modo nel quale si è deciso di rappresentare il corno. Si sarebbe potuto approfittare dell’occasione per regalare ai napoletani e ai tanti turisti che decidono di visitarla qualcosa che celebrasse il corno senza svilirlo. Certo, sarebbe stato necessario rinunciare ai ristoranti, ai negozi e al centro commerciale. Insomma l’amministrazione comunale avrebbe dovuto fare a meno dell’ennesima struttura per l’entertainment. Magari preferendo lasciare spazio all’arte. Non solo quella che si osserva ma anche quella che si fruisce, direttamente.
Nel 2012, proprio in coincidenza del Natale, di fronte all’ingresso del Macro Testaccio, a Roma, due artisti americani, Mike e Doug Starn hanno realizzato una grande installazione. Una scultura-architettura alta 25 metri e composta da circa ottomila aste di bambù. Fino a marzo 2015 è rimasta al suo posto. Ci si poteva salire, era possibile fare foto, vedere il corso del Tevere.
A Napoli, altra storia. Se De Magistris è, come sembra, attratto dall’altezza (prima il NAlbero ora il Corno), sbaglia a non tener conto dei progetti che gli permettono di gratificare questa sua ambizione. “Io chiedo a una scalata non solamente le difficoltà ma una bellezza di linee”, diceva l’alpinista e scrittore Walter Bonatti. Il sindaco nella sua scalata, invece tralascia del tutto la “bellezza di linee”. E sbaglia.