Ora che la tragedia venezuelana appare irreversibile, prevale la tendenza ad accomunare il regime autoritario di Maduro e il corrotto lulismo brasiliano, ai percorsi socialisti che hanno mantenuto consensi in un quadro democratico. L’oficialismo in Ecuador, così come il movimiento di Morales in Bolivia, narra però storie differenti.

IL TERZO FRONTE

Un attacco inaspettato al successore di Chàvez, proviene dallo stesso lato di barricata; Correo Internacional, rivista comunista, nel suo atto d’accusa, non fa sconti. I capi d’imputazione coinvolgono entrambi, maestro e allievo. La votazione del 30 luglio scorso che ha insediato la Costituente è definita “fraudolenta” e l’apparato Psuv (il partito del presidente) messo sullo stesso piano dell’opposizione Mud. (Mesa unidad popular)

Suggestiva, a mio parere, la loro teoria: denuncia l’inganno della polarizzazione tra le due fazioni che cela invece il reale conflitto in atto. Forze armate e burocrazia statale compromesse con il narcotraffico (si vedano le accuse a riguardo, rivolte al numero due del regime, Diosdado Cabello) oltre alla borghesia neoliberista pro-Usa, opprimono lavoratori ridotti alla fame e studenti defraudati delle garanzie democratiche. Gli stessi dirigenti sindacali sarebbero complici di tali soprusi.

Izquierda y derecha parte dello stesso inganno. A riprova di questo, sono messe in risalto la vendita di bond governativi che hanno subito perdite del 70%, la dipendenza dell’economia dalle importazioni, e la canalizzazione delle esportazioni-petrolio verso gli Stati Uniti. La Chevron deterrebbe il 40% dell’estrazione tramite società miste. La perdita quotidiana di un milione di barili, causa la paralisi della raffineria di Puerto la Cruz, ha indotto la richiesta di 50.000 barili di crudo agli Usa, come confermato da un articolo del New York Times. Infine la speculazione del cambio parallelo sul dollaro: ora un dollaro americano vale 12.000 bolivar venezuelani. Un operaio guadagna circa un dollaro al giorno.

SOCIALISMO ANDINO

Di ben altra pasta il percorso de la Revoluciòn Ciudadana che Correa iniziò in Ecuador nel 2007, confermato quest’anno dalle elezioni presidenziali, vinte dal suo successore, Lenin Moreno, con uno scarto di 220.000 voti sul candidato dell’opposizione, il banchiere Guillermo Lasso.

Dopo essere stato ministro delle Finanze durante il governo Palacio, Correa sapeva fin dal principio del suo mandato che il tallone d’Achille della nazione era nel debito estero ereditato dai suoi predecessori, i quali avevano emesso bond a getto continuo, con mostruosi tassi d’interesse. Appena insediato, lo disconobbe, minacciando il default e ricusando il monitoraggio del Fondo monetario internazionale. I titoli divennero così carta straccia. Lo Stato li ricomprò successivamente, svalutati del 65%. Il penoso fardello era in tal modo estinto. Rischiò molto. Durante il tentato colpo di Stato nel settembre 2010, fu sequestrato dalla polizia golpista e liberato dall’esercito dopo uno scontro sanguinoso. La riforma fiscale di Correa ha tassato le transazioni finanziarie, limitando i depositi offshore e imponendo contributi obbligatori al settore bancario, ai fini di creare un fondo di protezione per le fasce più deboli degli ecuadoriani.

Guillermo Lasso ha provato ad aizzare contro Correa, riuscendoci in parte, la classe media che mal sopporta tasse di successione e controllo costante sull’evasione.

Con il socialismo indigeno di Morales in Bolivia, l’Ecuador condivide le aperture alla piccola impresa finanziata dal micro-credito, il welfare sociale che si basa sugli utili di un’estrazione mista (la Bolivia ricava dalle saline il 50% del litio mondiale) e lo sviluppo turistico in continua crescita che riduce la dipendenza dagli idrocarburi. Il cambio non è un fattore speculativo: in Bolivia un dollaro oscilla da anni tra 6/7 boliviani, in Ecuador la valuta è il dollaro stesso.

La differenza chiave con il Venezuela consiste nel rispetto delle regole democratiche. Prova ne è stato il referendum boliviano nel febbraio 2016 che doveva decidere la modifica costituzionale sul limite dei mandati presidenziali, sancì il No popolare alla richiesta di Morales.

Correa rinunciò alla tentazione. Ora è in Belgio per alleggerire la tensione provocata dall’ingente debito (oltre 5 miliardi) contratto con la Cina: royalties petrolifere anticipate per gli aiuti post-terremoto. Intanto Moreno ha sospeso Jorge Glas, il suo vice, sotto indagine per peculato nell’inchiesta Odebrecht, che ha falcidiato il Parlamento brasiliano. Qui siamo sulle Ande. E tira un’aria diversa.

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