C'è grande attivismo tra i creditori della municipalizzata capitolina, che stanno bersagliando di ingiunzioni di pagamento la società in bilico tra concordato e default. Una mossa poco comprensibile da un punto di vista squisitamente giuridico
Dopo Roma Tpl, tocca a Cotral e Trenitalia. C’è grande attivismo tra i creditori dell’Atac, che stanno bersagliando di decreti ingiuntivi e ingiunzioni di pagamento la società capitolina degli autobus in bilico tra concordato e default. Una mossa poco comprensibile da un punto di vista squisitamente giuridico, visto che Atac, se mai avesse il denaro per pagare, facendolo rischierebbe il crac e i pagamenti sarebbero a rischio revocatoria. Nessun effetto apparente, poi, sulle strade percorribili da Atac per uscire dal tunnel, a partire dal temuto concordato che congelerebbe tutti i debiti.
Eppure i creditori della municipalizzata sono parecchio in movimento. L’azienda regionale del trasporto su gomma e il gruppo nazionale delle ferrovie che fa capo al ministero dell’Economia e delle Finanze negli ultimi giorni hanno reclamato dalla società capitolina in piena crisi finanziaria e con 1,35 miliardi di euro di debito sul groppone, il pagamento “immediato e senza dilazione” di oltre 90 milioni di euro. Ben 62 milioni per quanto riguarda Cotral e circa 30 milioni reclamati dalla controllata delle Ferrovie dello Stato. Somme importanti, insomma, che appesantiscono ulteriormente la società fresca di condanna del Tribunale Ordinario di Roma al pagamento di 42 milioni in favore di Roma Tpl, con il consorzio privato che gestisce per conto della municipalizzata romana il 20% del trasporto su gomma nella Capitale che ha subito rilanciato intimando il pagamento “entro 15 giorni lavorativi”, pena il pignoramento dei conti correnti di Atac.
COTRAL E TRENITALIA: I DEBITI DELLA PARTITA METREBUS – Sul fronte Cotral, la società al 100% di proprietà della Regione Lazio è ricorsa a un’ingiunzione di pagamento attraverso il tribunale di Roma per 62.218.739,05 euro, mentre in relazione a Trenitalia per il momento si parla semplicemente di “un’azione di recupero crediti” (senza altre specifiche) su una voce iniziale di 21 milioni di euro, lievitata con gli interessi fino a quota 30 milioni. Una partita a tre cominciata dieci anni fa e trascinatasi fino ai giorni nostri che riguarda la ripartizione degli incassi sulla bigliettazione integrata, gestita fino a dicembre scorso da Atac, fra le polemiche degli altri due partner. Dopo anni di contenziosi, grazie a un protocollo di intesa arrivato proprio alla fine del 2016, l’azienda capitolina ha mantenuto fino al 2019 la gestione della cassa indispensabile per la sua sopravvivenza, ma le percentuali delle ripartizioni sono adesso gestite dalla società regionale Astral, a cui sono stati consegnati di recente anche i codici per l’emissione dei biglietti. Con lo stesso accordo bonario, Atac si è impegnata a versare nelle casse delle due aziende partner rispettivamente 52 milioni (a Cotral) e 47 milioni (a Trenitalia). Ma il denaro, evidentemente, non è ancora stato versato. “Per fronteggiare il mancato incasso dei crediti vantati nei confronti di Atac – si legge nel decreto ingiuntivo richiesto da Cotral – l’azienda ha dovuto far ricorso alla cessione dei crediti futuri, strumento finanziario non ricorrente e del tutto straordinario”.
ROMA TPL E I “15 GIORNI LAVORATIVI” – Se ai 92 milioni chiesti da Cotral e Trenitalia aggiungiamo i 42 milioni pretesi entro agosto da Roma Tpl, sfioriamo quota 135 milioni. Un contenzioso sul corrispettivo chilometrico, quest’ultimo, che dura dai tempi di Walter Veltroni e che ha visto Atac prima accettare un accordo (il “lodo Tpl”, appunto) e poi farvi ricorso avverso secondo un meccanismo che – dopo l’assegnazione nel 2010 di un appalto monstre da 800 milioni in 8 anni con lo 0,96% di ribasso – ha portato la municipalizzata capitolina fino alle due sentenze avverse (nel giro di un anno) rispettivamente da 77 e 42 milioni. Soldi per i quali Roma Capitale, secondo i giudici, non può nemmeno manlevare Atac “in quanto fondata sul rapporto di immedesimazione organica esistente tra ente pubblico e società in house”.
“Queste società evidentemente mirano a consolidare il loro credito, che poi dopo farà la stessa fine degli altri se verrà ammesso al concordato e verrà omologato”, spiega a ilfattoquotidiano.it l’avvocato Franco Lo Passo interpellato in merito all’opportunità dei decreti ingiuntivi nei confronti di una generica società che si sta preparando al concordato. “L’unica cosa che cambia è che avendo fatto queste ingiunzioni, ci saranno delle spese che probabilmente andranno però al chirografo insieme al capitale, se è un credito chirografario”, continua sottolineando che “dal punto di vista dell’impegno assunto mediante un concordato in bianco non cambia molto, assolutamente niente, nel senso che questi crediti faranno la stessa fine degli altri a seconda se il concordato verrà omologato o la società andrà al fallimento o paghi”, con l’ultima ipotesi che viene ritenuta piuttosto improbabile visto che finora non è stata pesa in considerazione. Tanto più che “se si dovesse andare al fallimento gli eventuali pagamenti sarebbero sicuramente revocabili e quindi il curatore li revocherebbe”. Nullo, in ogni caso, l’effetto pratico sulla strada del concordato.
CONCORDATO O COMMISSARIAMENTO? – In ogni caso il consiglio d’amministrazione di Atac – che allo stato dell’arte “non conferma e non smentisce” le ultime notizie che la riguardano e “non ha altre comunicazioni da fare in merito” – sta ancora vagliando tutte le possibilità a sua disposizione. Per decidere al meglio, il presidente e ad Paolo Simioni (che nel frattempo ha assunto anche la carica di direttore generale) si avvarrà della consulenza del commercialista e professore a Tor Vergata, Carlo Felice Giampaolino, figlio dell’ex presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino. Nei giorni scorsi il ministro Graziano Delrio ha per altro lasciato intendere che, in caso di impossibilità di procedere al concordato in bianco, il governo potrebbe prendere in mano la situazione procedendo con un commissariamento. Anche perché, la misura sarebbe facilmente giustificata con la necessità di scongiurare la prospettiva di un’interruzione del servizio nella Capitale a inizio settembre. Una mossa, del resto, già contemplata da una mozione approvata lo scorso autunno in Senato, che vedeva come primi firmatari Stefano Esposito (Pd), Andrea Augello (Gruppo Misto) e Francesco Aracri (Forza Italia).