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Diritti - 17 Agosto 2017
“Fine pane mai”, la bottega di Rebibbia dove i detenuti preparano pizza e dolci: “Una breccia nelle mura del carcere”
L’hanno definita “di confine”. “Fine Pane Mai” è una caffetteria, una bottega. Ma è anche una breccia nel muro di cinta di una prigione, quella di Rebibbia, periferia est di Roma. Ha aperto a fine aprile e vende pane, pizza, dolci e gastronomia realizzati dai dipendenti detenuti della Terza casa circondariale, istituto a pena attenuata. Ha già cominciato a cambiare lo scenario di questo quartiere popolato da da anziani e da pochi, cari negozietti. “All’inizio non è stato semplice: i commercianti hanno storto il naso”, racconta Annunziata Passannante, direttrice dell’istituto. “Ma le cose, si sa, si risolvono da sole: ora le signore del quartiere vengono qui a fare colazione”. L’idea risale a qualche anno fa, e nasce dal confronto tra la direzione e un ex detenuto, Claudio Punti. “È stato Claudio a proporre questo progetto”, racconta Passannante. “È così che abbiamo cominciato a lavorare per trovare finanziamenti e siamo arrivati a presentare il progetto a Cassa Ammende che lo ha poi approvato”. Un’avventura complessa, in cui “io e i miei collaboratori abbiamo dovuto affrontare tutte le gare, comprare i forni, diventare esperti di una materia che non ci apparteneva”. E poi l’apertura del muro di cinta “per creare questo ponte di comunicazione“. La bottega è stata poi consegnata all’imprenditore capofila del progetto, Valentino Petroni, della Panifici Lariano, da tre generazioni nel settore. “Abbiamo l’obbligo di vendere il prodotto trasformato in questi laboratori e di assumere delle persone”, spiega. “Ci troviamo bene a lavorare con i detenuti: per noi un dipendente è un dipendente, punto”. Nella bottega e nei laboratori lavorano a oggi sette detenuti: “E l’idea è di arrivare a 15/20 dipendenti: stiamo aspettando di ingranare ulteriormente”. La Terza Casa Circondariale di Rebibbia è un istituto a custodia attenuata per tossicodipendenti, abusatori,e da poco anche per tutte le altre forme di dipendenza, compresa quella da gioco d’azzardo. “Ci sono una quarantina di detenuti tossicodipendenti”, dice Passannante, “e poi c’è una sezione semi-liberi con un’altra quarantina di persone: escono la mattina per andare al lavoro all’esterno e rientrano la sera. Quello alla caffetteria “Fine Pane Mai – Terza Bottega” “è un lavoro a tutti gli effetti: non si tratta solo di passare la giornata”, spiega la direttrice. “Sanno che se l’imprenditore rientra con i costi, loro continuano ad avere contratto e contributi. Quello che vivono è il rapporto che all’esterno un lavoratore ha con il proprio datore di lavoro”.