“La vera vittima delle propalazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Tuzzolino è proprio la giustizia”. Il gip del tribunale di Caltanissetta, Antonia Leone, non ha dubbi: l’ex architetto agrigentino arrestato agli inizi di agosto con l’accusa di calunnia è un “bugiardo patologico“. Il lavoro della Squadra Mobile nissena ha azzerato l’attendibilità del pentito, architetto massone originario di Agrigento, che da almeno cinque anni collabora con i magistrati di mezza Isola impegnati nelle inchieste su mafia, massoneria e sulla latitanza del boss Matteo Messina Denaro. Dichiarazioni clamorose, che hanno puntato il mirino contro insospettabili, accusando magistrati e legali di essere corrotti e collusi. Racconti che hanno obbligato gli inquirenti a fare perquisizioni e sequestri. Tutto puntualmente rilanciato dalla stampa, comprese le informazioni, “ritenute false“, sui presunti progetti di morte già pronti per assassinare alcuni magistrati.
L’inchiesta della procura nissena, scrive il gip, ha “raggiunto la prova totale dell’infondatezza delle propalazioni accusatorie di Tuzzolino”. Dietro al castello di false dichiarazioni si celerebbe il tentativo di schermare dei capitali in un paradiso fiscale. Tuzzolino, che aveva già patteggiato un anno e dieci mesi di reclusione per truffa, turbativa d’asta e falso ideologico, di sé, rivolgendosi alla moglie (che lo ha denunciato per violenze), dice (mentre gli investigatori lo intercettano): “Vinco sempre io. È un destino. Sono fatto così. Sono nato per vincere” e ancora “ho pensato un colpo da maestro, ma io sono un mago”. Continuando al telefono con la consorte, a un certo si rammarica persino di aver “dimenticato di dire alla dottoressa Principato che Gianluca Vacchi (il noto imprenditore e personaggio social, ndr) fosse un mafioso“. Adesso il falso pentito si trova in galera, in isolamento, e sul suo status giudiziario a breve la Commissione centrale dovrà esprimersi per confermare o meno la protezione. Dalle sue dichiarazioni sono nati oltre 34 procedimenti “tutti conclusi – dice Francesco Lo Voi, procuratore capo di Palermo ascoltato come teste – con richiesta di archiviazione, in parte accolti e in parte ancora pendenti dinanzi ai giudici». Per i magistrati di Caltanissetta sarebbero fasulle le dichiarazioni rese sugli attentati progettati contro i magistrati Marcello Viola, Marco Verzera (all’epoca entrambi in servizio a Trapani), Teresa Principato (fino a pochi mesi fa guidava le indagini sulla ricerca di Matteo Messina Denaro) e Francesco Lo Voi e su presunti favori concessi dall’ex procuratore capo di Agrigento, Ignazio De Francisci, ora procuratore generale di Bologna.
Le indagini si riferiscono a fatti accaduti lo scorso anno: per smontare le dichiarazioni di Tuzzolino, gli agenti della Squadra Mobile hanno analizzato ogni singola dichiarazione messa a verbale dal pentito durante gli interrogatori. Racconti smentiti dalle intercettazioni e soprattutto dai dati sulle cellule telefoniche alle quali si agganciava il suo telefono cellulare. Molti dei particolari citati da Tuzzolino per dare credibilità alle sue “rivelazioni“, tra l’altro, non sarebbero neanche inediti: si trattava di fatti accessibili da fonti aperte. In pratica informazioni reperibili dai giornali o addirittura dal web rilanciate nei verbali per dare solidità ai suoi racconti. “L’ufficio – scrive il giudice – è stato impegnato per diversi mesi per compiere le doverose attività di riscontro alle dichiarazioni poi rivelatesi del tutto false”.
Tutto comincia quando l’architetto 37enne, dopo aver inviato un curriculum con il suo vero nome, inizia a lavorare in un call center marchigiano. Lì conosce l’avvocato Ennio Sciamanna, noto per aver difeso altri collaboratori di giustizia – tra cui Antonio Mancini, l’accattone della Banda della Magliana – e l’imprenditore Silvano Ascani, sotto processo per il fallimento di una discoteca. Il 30 agosto durante un interrogatorio condotto dall’allora procuratore capo di Trapani, Marcello Viola, e dal sostituto procuratore Marco Verzera, Tuzzolino riferisce che “era in corso un attentato ai danni dello stesso Viola e della dottoressa Teresa Principato”. Ad averglielo rivelato sarebbe stato il legale romano che dopo essersi fatto nominare suo avvocato di fiducia, avrebbe cominciato a fargli confidenze su confidenze. “L’attentato si sarebbe svolto in occasione di nuovi interrogatori”, spiega Tuzzolino. “Viola – secondo il pentito – non era ancora stato ucciso perché Messina Denaro non voleva fare guai ma adesso il latitante si era deciso a farlo perché il magistrato stava dando fastidio al senatore Tonino D’Alì, grosso favoreggiatore della latitanza della ‘testa dell’acqua’(il capo di Cosa nostra ndr)”. Le indagini a carico del senatore D’Alì (Forza Italia) sui rapporti con i Messina Denaro sono note almeno dal 2011: il fatto che Tuzzolino collegasse il parlamentare al boss di Castelvetrano, dunque, non riscontrava in nessun modo il suo racconto.
Quando non arrivano da giornali e siti internet, tutte o quasi le presunte rivelazioni di Tuzzolino avrebbero sempre stessa fonte: l’avvocato Sciamanna. Il legale avrebbe saputo degli attentati progettati da Cosa nostra perché informato da un tale avvocato Siciliano ma tra i due professionisti – lo hanno scoperto gli investigatori – non risulta alcuna traccia telefonica, anche a ritroso nel tempo. Sul punto, però, il falso pentito fa poi una mezza marcia indietro: “Non so riferire quale fosse la fonte di informazione dello Sciamanna, non glielo chiesi mai. Posso solo dire, che per quanto da lui riferitomi, c’era questo progetto omicidiario ordinato da Matteo Messina Denaro e che sarebbe stato realizzato dai Casamonica“. Ma perché questo legale romano avrebbe dovuto sapere quali omicidi avesse in mente Messina Denaro? “Perché Messina Denaro era amico dello Sciamanna”, arriverà a dire Tuzzolino. Il legale romano, in un confronto all’americana con il collaboratore, ha negato ogni accusa. Tuzzolino dice che “Sciamanna ha paura di confessare” ma le indagini della Squadra Mobile smontano ogni dettaglio dei suoi racconti. Dopo il 21 settembre Tuzzolino capisce di essere intercettato e “ad ogni conversazione telefonica con la moglie non perdeva occasioni di tornare ai discorsi raccontati ai magistrati, ‘imboccando’ sistematicamente nozioni alla moglie. Nonostante Tuzzolino la tiri dentro in ogni occasione, lei durante un interrogatorio dice di non conoscere alcun avvocato”.
Tra i falsi presunti attentati c’è n’è anche uno contro il procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti. “Il progetto sarebbe attuale e dovrebbe essere eseguito nei pressi della Dia a Roma, in via Cola di Rienzo. L’attentato avrebbe coinvolto anche il dirigente della Dia che avrebbe accompagnato il Roberti nei suoi spostamenti”. Secondo Tuzzolino, invece, non ci sarebbe stato nessun rischio per il magistrato Nino Di Matteo, che come ha raccontato il collaboratore Vito Galatolo (lui sì considerato altamente attendibile) è stato condannato a morte da Messina Denaro: l’ordine di morte per il pm palermitano non è mai stato ritirato.
Sarebbero false anche le dichiarazioni che Tuzzolino ha messo a verbale sui favoreggiatori della latitanza del boss di Castelvetrano, garantita da ampie coperture composte da colletti bianchi e massoneria. “Con riguardo a Messina Denaro – dice la Principato, ascoltata come testimone dai colleghi di Caltanissetta – abbiamo riscontrato l’esistenza di luoghi (in particolare in Spagna e in Inghilterra) e persone che Tuzzolino riconduce al latitante ma non abbiamo riscontrato contatti diretti fra questi luoghi e queste persone con Messina Denaro”. Sull’ultima primula rossa di Cosa nostra Tuzzolino è un fiume in piena. “L’avvocato Sciamanna mi ha parlato di un’indagine sui conti svizzeri della figlia di Messina Denaro. Mi parlò anche di un indagine a carico di Domenico Scimonelli, a cui era arrivato un finanziamento di 750 mila euro, forse per un’azienda vinicola”. Tutte notizie riportate da articoli giornalistici pubblicati ben prima delle sue dichiarazioni. Il collaboratore fa il nome di un presunto “figlioccio” di Messina Denaro, un tale Massimo. “Sentendo questo nome e il riferimento a un negozio di abbigliamento – dice il magistrato Francesco Lo Voi – mi viene in mente la misura di prevenzione nei confronti dei Niceta e buona parte di queste notizie sono reperibili da fonti aperte”.
“Tuzzolino – scrive poi il gip – non manca di coinvolgere anche operatori del Nop, Nucleo operativo di protezione che vengono accusati, in modo del tutto gratuito, di tenere condotte irregolari, seppur non costituenti reato”. Per denunciare alcuni ufficiali del Nop nello scorso mese di marzo ha contattato la redazione de Le Iene per un’intervista. Non era soddisfatto del trattamento a cui veniva sottoposto. Soprattutto quando l’Ufficio Protezione di Roma aveva disposto il suo trasferimento in un’altra località protetta a lui non gradita. Al limite del surreale, invece, il comportamento tenuto dal falso pentito quando doveva recuperare un piccolo tesoretto che aveva detto di aver nascosto in Liechtenstein. Si tratta di ben 750 mila euro che il collaboratore ha sostenuto di possedere e di custodire in una cassetta di sicurezza presso una banca del paradiso fiscale europeo. Quando l’8 maggio scorso, un maresciallo della Guardia di Finanza gli fece sapere di aver comunicato all’Interpol di Berna, alla Dogana di Vaduz e al Comando Generale di Palermo del viaggio che dovevano fare per prelevare i soldi, Tuzzolino si disse indisponibile a causa di un’operazione chirurgica da realizzare entro pochi giorni. Una pantomima durata quindici giorni: secondo i riscontri degli inquirenti “non era vero che Tuzzolino si trovava ricoverato all’ospedale di Merano (luogo in cui diceva di doversi operare, ndr) come si evinceva dalla cellula censita dalla utenza telefonica a lui in uso nel comune di Bolzano”. Mentiva “per non recarsi a eseguire l’operazione di recupero delle somme di denaro, operazione su cui buon esito appare sin da ora non azzardato esprimere qualche perplessità“.