La Brebemi è un plastico esempio di project financing alla rovescia: anziché accollare il rischio d’impresa al proponente dell’opera, lo stesso finisce con il costare e gravare solo sulle spalle degli Enti pubblici, Stato e Regione Lombardia. Ma c’è di più. È di pochi giorni fa la notizia che il controllo di Brebemi passa in mano a Banca Intesa, salirà dal 42,45% al 55,79% di Autostrade lombarde, la cui partecipazione del 78,98% in Brebemi si sommerà allo 0,05% già detenuto direttamente dalla banca. L’operazione comporta un esborso di 80,7 milioni per Intesa Sanpaolo, con Brebemi che diventa, dunque, la prima autostrada italiana gestita da un istituto di credito.
Eppure in non poche occasioni il board di Intesa aveva affermato che “Brebemi e le partecipazioni autostradali andavano dismesse entro il 2017“. E di voler tornare nel suo perimetro di banca tradizionale e non di banca sistema dopo le partecipazioni in Alitalia, Telecom, RCS e soprattutto nelle infrastrutture (spesso inutili) per le quali era stata fondata nel 2003 la Biis, un’unità operativa all’interno della divisione Corporate di Intesa.
Tutto è cominciato nel 2005, quando Intesa rilevò il 35% da Aspi (il maggior gestore privato di autostrade italiano) per 40 milioni. Biis aveva l’obiettivo di promuovere lo sviluppo e la crescita economica con sei priorità d’intervento: il credito ad una miriade di progetti infrastrutturali, il sostegno al sistema sanitario, alle università e alla ricerca scientifica, il miglioramento dei servizi di pubblica utilità, il supporto all’equilibrio finanziario della Pubblica Amministrazione, il finanziamento dei progetti urbanistici e di valorizzazione del territorio e l’introduzione di strumenti innovativi per l’efficiente gestione dell’operatività bancaria di enti e aziende pubbliche. La struttura, però, è stata poi azzerata nel 2012 dopo la poco brillante esperienza che aveva avuto il suo culmine nel 2011 con un bilancio chiuso con una perdita netta di 480 milioni.
Mentre da banca Intesa si manifestava la volontà di concentrarsi esclusivamente sui clienti, famiglie e imprese e non sulla gestione delle aziende ecco che è scattata l’operazione Brebemi. In questi giorni il patron di Brebemi ha annunciato di voler rinegoziare i tassi d’interesse dei mutui (1,6 mld), contratti con le banche creditrici ad un tasso d’interesse del 7%, cifra oggi fuori mercato. Ciò solleva un grande punto di domanda: se Banca Intesa, da primo azionista privato, è passata ad azionista di controllo Brebemi e, allo stesso tempo, il primo creditore dell’autostrada Brescia Milano (visto che è stata primo consulente, primo azionista e l’intermediario principale che ha negoziato il prestito miliardario con la Bei e la Cassa Depositi e Prestiti), allora qual è il suo interesse oggi? Vedersi corrispondere ricche rate del mutuo avuto al 2% con un delta attivo di 5 punti oppure auto-ridurserlo per tenere in vita la barcollante Brebemi?
Se un paio di anni fa Banca Intesa aveva annunciato di uscire da Brebemi, oggi con questi mutui da intascare e le nuove garanzia statali si tiene in vita un’azienda che dovrebbe portare i libri in tribunale (terzo bilancio negativo dall’apertura e ricavi inferiori al mutuo da pagare), un traffico da nemmeno strada provinciale e la mancanza di solidità patrimoniale richiesta dal Cal (Concessionario Autostrade Lombarde). La situazione sembra ancor più spinosa, per non dire paradossale.
Brebemi si difende affermando che “il traffico, e con esso il fatturato, cresceranno con l’apertura del collegamento con l’A4 ad Ospedaletto”. Probabile, ma viste le tariffe doppie rispetto all’A4 sarà tutto da verificare. Quel che è certo è che questo eventuale traffico drenato dall’A4 Milano-Brescia avrà un costo quello che Autostrade per l’Italia sta negoziando (un rimborso milionario) con il Ministero delle Infrastrutture visto e considerato che questa interconnessione non era prevista nella concessione iniziale. Insomma per un’opera pubblica di modesta utilità, dagli alti costi (il triplo del previsto) e dal grande impatto ambientale (900 ettari sono già stati consumati, con la realizzazione dell’interconnessione con l’A4 se ne dovrebbero usurpare altri 60) l’unica certezza è che, grazie allo Stato, si mantiene in piedi un ricco castello finanziario con un evidente conflitto d’interessi al suo interno che va risolto.
Gli ultimi dati ci dicono che il traffico giornaliero si attesta su meno di 25mila veicoli giornalieri (a fronte di una previsione di 50mila): un dato a dir poco modesto che spinge la concessionaria su un rettilineo di debiti che già gravano sulle spalle dello Stato. Infatti, sono 320 i milioni di contributi del Cipe a cui vanno aggiunti i 6 anni in più di concessione dal valore attualizzato 34 milioni, 1 miliardo e 200 milioni di subentro a fine concessione e i 275 milioni di contributo da RFI per opere di affiancamento dell’alta velocità all’autostrada. Se non bastasse, il bilancio 2016 parla chiaro: con soli 50 milioni di incasso, i 90 milioni di mutuo annuale e i 9 milioni di spese d’esercizio hanno portato come risultato una perdita di 49 milioni di euro. E siamo già al terzo rosso consecutivo.