Economia

Evasione, i comuni non incassano e i furbi ingrassano: nel 2016 il recupero locale crollato del 41%, persi 10 milioni di euro

Dopo aver subito tagli per 40 miliardi in otto anni gli enti locali tirano in remi in barca e smettono di fare gli accertamenti anche se il recupero sarebbe tutto a loro vantaggio. Solo nel 2016 abbiamo lasciato ai furbetti dell'Irpef, Iva e Irap. Lasciar correre quasi mille evasori l'anno nel 2016 ci è costato 10 milioni di euro.

Lo Stato li ha tartassati senza pietà, tagliando loro 40 miliardi di euro in otto anni, costringendoli ad aumentare le imposte ai cittadini che li hanno votati. Ed ecco servita la vendetta dei comuni e dei sindaci italiani: la Corte dei Conti registra un crollo del 41,3% delle entrate tributarie derivanti dagli accertamenti realizzati dall’Agenzia delle Entrate con il loro aiuto. In pratica i comuni hanno smesso di battere cassa, di fare controlli, di stanare debitori, elusori ed evasori tramite gli strumenti a loro disposizione (ad esempio la verifica delle utenze domestiche). Si è passati da 16,8 milioni di euro a meno di sette (6.938.4000), toccando così il punto più basso da quando lo Stato ha deciso di incentivare la compartecipazione egli enti locali all’accertamento dei tributi erariali (iva, irpef, irap) tramite il riconoscimento di una parte delle somme recuperate. E’ come se quasi la metà delle città italiane avessero smesso di fare da sostituto d’imposta nella lotta e nel recupero dell’evasione, la più grande piaga per il bilancio e lo sviluppo dell’Italia. Lasciar correre quasi mille evasori l’anno nel 2016 ci è costato 10 milioni di euro.

Il calo del 2016 conferma un trend in atto da anni. Per la precisione si è scesi da 3.455 accertamenti del 2012 a 1.156 del 2016 passando per i 2.916 del 2013, i 2.701 del 2014 e i 1.970 del 2015. Considerando l’intero quinquennio 2012-2016 la diminuzione degli accertamenti realizzati con il contributo dei comuni raggiunge il 66,5%. Il dato che impressiona di più, oltre all’evidente segnale di cedimento ai furbi d’Italia, è che la quota di recupero riconosciuta ai comuni per l’attività dal 2012 al 2017 è stata elevata al 100% rispetto al 30 riconosciuto prima del 2005. Il paradosso è dunque che l’intera “fetta della torta” andrebbe agli stessi comuni che si rifiutano però di apparecchiare la tavola e di brandire forchetta e coltello. Diverse sono le ragioni di tale disimpegno. “Anzitutto – spiega all’Adnkronos Guido Castelli, delegato Anci alla fiscalità e sindaco di Ascoli Piceno – abbiamo notato che rispetto alle nostre segnalazioni l’Agenzia delle Entrate ha sempre maggiori difficoltà a lavorarle. All’inizio, quando la normativa fu introdotta vi fu una adesione significativa dei Comuni, soprattutto nelle regioni del Centro. Siccome tale attività di segnalazione comporta un lavoro e l’impiego di risorse da parte dei comuni nel tempo gli Enti hanno deciso di concentrare l’attività di collaborazione, che all’inizio riguardava anche casi di piccola evasione, sui casi più significativi dai quali ci si attende un risultato economico in termini di recupero adeguato. E ciò anche per evitare di utilizzare risorse per una attività dispendiosa non sempre in grado di produrre un ritorno”.

Va anche detto che il meccanismo per una buona parte d’Italia non è mai partito, specie al Sud dove intere metropoli e grandi città come Napoli, Bari, Foggia, Caserta, Taranto, Avellino e Cosenza sono rimaste inattive. Alcune amministrazioni comunali ‘renitenti’ si ritrovano anche al centro nord: Lodi, Sondrio, Biella, Vercelli, Grosseto, Lucca, Pisa, Siena, Belluno, Rovigo e Treviso. Non a caso esattamente un’anno fa la Cgia di Mestre, sempre su dati Viminale-Agenza delle Entrate, denunciava che “solo il 7% dei Comuni italiani si è attivato nella lotta all’evasione fiscale. Su poco più di 8.000 Comuni presenti in Italia, infatti, solo 550 hanno dato origine ad un’azione collaborativa con l’amministrazione finanziaria”. Se il picco massimo è stato ottenuto nel 2012 (pari a 3.455 accertamenti), nel 2013 il dato è sceso a 2.916, nel 2014 a 2.701 e l’anno scorso a 1.970. Oggi siamo a 814 di meno.

A livello regionale i comuni che maggiormente hanno utilizzato lo strumento nel 2016 sono quelli della Calabria, con 230 segnalazioni seguiti dagli Enti della Lombardia con 161 segnalazioni e dall’Emilia Romagna con 160 segnalazioni. Fanalino di coda la Basilicata con zero segnalazioni, preceduta da Valle d’Aosta con una segnalazione, Abruzzo con 4 e Molise con 5 segnalazioni. La lettura di questi dati nelle serie storiche però rivela la lenta disaffezione anche da parte delle aree virtuose: nel quinquennio il crollo più significativo nelle segnalazioni si è registrato proprio in Lombardia che è passata da 1.127 del 2012 a 161 del 2016 e in Emilia Romagna passata da 1.061 a 160.

Il trend lascia intendere che avanti di questo passo e il recupero dal basso dell’evasione sarà un ricordo. Ma come rilanciare questo strumento di contrasto all’infedeltà fiscale? Per Castelli la soluzione passa per il superamento dell’attuale meccanismo premiale. “Da tempo -spiega – i comuni chiedono un riordino delle loro funzioni. All’interno di tale processo occorre introdurre la lotta all’evasione tra le funzioni fondamentali obbligatorie. Solo così tutti gli Enti saranno tenuti ad impegnarsi in maniera strutturale e continuativa nel contrastare chi non paga le tasse”.