Il mare non è solo emblema di estate e divertimento. Il fotografo Federico Bernini ce lo dimostra, ponendo una riflessione sull’esistenza umana e su come l’infinità blu interagisca con essa. Accanto ai mulini delle saline di Marsala, dove il mare diventa di giorno simbolo di lavoro e fatica e di notte spettatore della movida e dell’assalto dei turisti, trovano spazio i giubbotti di salvataggio abbandonati su un promontorio silenzioso di Lesbo, con vista mare sulla Turchia. E poi i campi profughi dove la vita continua, nonostante la paura, la morte, la perdita. In mezzo Cannes e Saint Tropez, città leziose e patinate, e Nizza, ancora ferita dall’attacco terroristico del 14 luglio 2016. Sullo sfondo, infine, Livorno, punto di partenza e di arrivo di questo viaggio, città con una concezione del mare atipica, chiusa in una realtà che sembra edulcorata. Una città persa nell’ostinata ricerca della serenità, nell’illusione che la vita, alla fine, sia perfetta così. Con il mare e basta.
Né mai di te si avrà memoria è il titolo della mostra di immagini di Bernini, fotografo professionista, che resterà fino al 27 agosto alla Fortezza Nuova di Livorno. Un’esposizione promossa dal Comune e curata da Giorgio Bacci, docente alla Scuola Normale di Pisa. Bernini, classe 1980, fotoreporter che ha collaborato anche con l’agenzia LaPresse e che in passato ha già realizzato progetti legati al sociale in teatri di guerra, prende in prestito un frammento della lirica della poetessa greca Saffo – E di te nel tempo – e parte per un viaggio fotografico attraverso i luoghi più significativi del Mediterraneo. Con i suoi scatti racconta l’assenza e lo fa via mare. E il mare diventa, di fronte all’obiettivo, un contenitore, ma si fa anche muro e in qualche modo barriera.
Nel titolo della mostra, e al centro del racconto, si staglia Lesbo, isola protagonista di alcune delle istantanee più significative. L’isola dell’amore cantata dalla poetessa greca è ora luogo-simbolo del dramma dei migranti, miraggio visibile a occhio nudo dalle coste turche, approdo di uomini, donne e bambini vestiti di speranza e giubbotti di salvataggio. Le liriche d’amore cedono il passo a istantanee del dolore. Tutto intorno il silenzio, ma a fare rumore è soprattutto l’assenza, perché nelle fotografie di Bernini è preponderante quello che non c’è. Ed ecco allora che davanti al cimitero dei giubbotti di salvataggio compare un’elegante poltrona che sembra sottratta al salotto buono di una famiglia borghese. Che però non c’è. Anche sul lungomare di Nizza si vede un orsacchiotto abbandonato tra mazzi di fiori e lumini votivi, ma è il bambino che manca. In mezzo sedie vuote, spazi vuoti, quasi a voler segnare un confine temporale, un “prima”, tranquillo e pieno, e un “dopo”, successivo al viaggio per mare.
A fare da contraltare la serie dedicata a Saint Tropez e Cannes che diventano “non-luoghi” dove spicca il contrasto tra quotidianità ed eccezionalità. Lì il disagio si fa spazio in uno scatto che inquadra un piccolo cimitero vista mare e un brivido corre lungo la schiena osservando il palcoscenico sul lungomare di Cannes che incornicia eleganti yacht accanto a una nave da guerra in rada pronta a ricordarci che la realtà è anche un’altra cosa.
Il viaggio di Bernini si conclude laddove è cominciato, a Livorno, e dove, per un attimo, sembra tornare la calma. Livorno è placida e a tratti indifferente, un passo indietro rispetto al tormento delle altre città raccontate. È senza dramma, senza dolore, almeno apparentemente. Retini da pesca, aperitivi serviti in spiaggia da chi probabilmente ha attraversato il mare per arrivare in quest’oasi sospesa nel tempo, un biliardino che fa da madeleine, ombre proiettate sulle cabine.
Qui il mare è una via della città e chi è nato a Livorno ha un rapporto con il mare che non è paragonabile a niente altro. Il mare è pausa e riposo, quotidianità e vita che scorre, dodici mesi all’anno. Bernini racconta una situazione complessa e articolata, effetto della precarietà contemporanea, ma anche causa del ricordo precario. L’obbiettivo si mette in mezzo tra l’autore e la realtà e fa da filtro; la fotografia diventa ciò che fa sì che di tutto questo si abbia un giorno memoria.