Il verdetto è stato raggiunto a maggioranza (tre giudici contro due) e ha stabilito che pronunciare o scrivere la formula "Io ti ripudio" per interrompere il legame coniugale "è incostituzionale e contrario ai principi dell'Islam"
In India i mariti non potranno più separarsi dalle mogli solo pronunciando o scrivendo il “triplo talaq” (la formula “Io ti ripudio”). A stabilirlo con una sentenza definita storica è stata la Corte suprema indiana il 22 agosto scorso, sostenendo che essa è “illegale e contraria ai principi dell’Islam“. Il verdetto è stato raggiunto a maggioranza (tre giudici contro due) e ha messo fine a una discussione che si protraeva nel Paese asiatico da molti mesi. Il triplo talaq, sistema di divorzio utilizzato in molti Paesi islamici, era una prerogativa esclusiva degli uomini, che lasciava le donne inermi e le costringeva a subire passivamente la scelta del marito. L’India finora è stato uno dei pochi paesi al mondo in cui un uomo musulmano poteva divorziare dalla moglie dicendo la parola “Talaq” o “divorzio” tre volte in rapida successione. Una pratica utilizzata negli ultimi anni anche con lettere, sms o e-mail, WhatsApp e Skype. I tre giudici di maggioranza firmatari del verdetto hanno sottolineato che “la pratica di divorzio attraverso il Triplo Talaq è palesemente arbitraria e in contrasto con la Costituzione, per cui deve essere cancellata”.
A fare appello al massimo tribunale indiano erano state sette donne musulmane che avevano subito il divorzio da mariti, a voce o con messaggi. Da parte loro i due giudici di minoranza, fra cui lo stesso presidente della Corte, C.J.I. Khehar, avevano invece proposto di mantenere in vigore la pratica per altri sei mesi rivolgendo un appello ai partiti politici affinché collaborassero con il governo per approvare una legislazione che risolvesse la questione. Amit Shah, presidente del partito di governo Bjp, ha parlato di “verdetto storico” che “assegna uguaglianza di diritti alle donne musulmane”. Da parte sua il leader del partito del Congresso, Kapil Sibal, all’opposizione, ha affermato che “il verdetto protegge le leggi personali (delle differenti religioni)”. D’accordo con l’Alta corte anche Shaista Amber, presidentessa del Board indiano per la legge personale delle donne musulmane. “Siamo molto felici, abbiamo vinto. È un giorno storico. Noi, le donne musulmane, fino ad ora eravamo prive di una legge che difendesse i nostri diritti nel matrimonio e nella famiglia”, ha detto l’attivista Zakia Soman, del gruppo Bharatiya Muslim Mahila Andolan.
I cittadini indiani di fede musulmana, che rappresentano circa il 14% della popolazione totale di 1,25 miliardi, sono governati dalla legge personale, codificata formalmente nel 1937, che è vagamente basata sulla sharia o sulla legge islamica. Anche se è stato praticato da decenni, il divorzio con il Triplo Talaq non ha alcuna menzione nel Corano. La maggior parte dei Paesi islamici, inclusi il Pakistan, Arabia Saudita e Bangladesh, hanno vietato la pratica, ma l’usanza era ancora molto diffusa in India. Qui attiviste musulmane, il premier Narendra Modi e il suo partito nazionalista indù (Bharatiya Janata Party – Bjp) hanno spinto perché la legge fosse cancellata, mentre alcuni gruppi musulmani affermavano che lo Stato non avesse il diritto di intervenire nelle questioni religiose.