I parlamentari avanzano migliaia di interpellanze al presidente del consiglio, ai ministri e ai sottosegretari. Che, però, le ignorano quasi in blocco: negli ultimi 10 anni il 76% di istanze presentate dai senatori non ha avuto alcun seguito. Leggermente migliore la situazione alla Camera dove dal 2013 "solo" il 60% di documenti è stato ignorato. E accade anche che a rispondere sia un esecutivo diverso da quello al quale era stato posto il quesito
I parlamentari chiedono, interpellano, interrogano. E lo fanno nelle commissioni, in Assemblea, in forma scritta, orale, con urgenza. Ogni giorno, week end e festivi inclusi, pure quando i portoni di Camera e Senato sono sbarrati. Ma il governo non risponde. Non risponde mai. O quasi. È un dialogo con un solo interlocutore quello che va in scena tra Palazzo Madama e Montecitorio, dove ogni anno deputati e senatori avanzano migliaia di domande al presidente del consiglio, ai ministri e ai sottosegretari. Che, però, le ignorano quasi in blocco. E ormai hanno un carico di interrogazioni e interpellanze inevase vecchio di anni.
Il governo muto 3 volte su 4 – Solo al Senato l’esecutivo non risponde sistematicamente a tre interrogazioni su quattro. Il bello è che non si tratta di una situazione d’emergenza: la storia va avanti da (almeno) tre legislature, dieci anni durante i quali si sono alternati sei diversi governi, di centrodestra, di centrosinistra, tecnici e persino a larghe intese. Con il risultato che a volte a rispondere a un’interrogazione presentata a un determinato esecutivo è un ministro di un governo diverso. E la risposta può arrivare anche quattro anni dopo: a cosa si risponda dopo tutto questo tempo è un mistero. Vanno leggermente meglio le cose a Montecitorio dove non vengono considerati “solo” sei atti parlamentari su dieci: questi, però, sono numeri relativi solamente alla legislatura in corso.
Il popolo chiede, l’esecutivo non risponde – E dire che il sindacato ispettivo (cioè il potere di depositare interpellanze e interrogazioni) è lo strumento che permette a tutti i parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione, di esercitare il potere di controllo sull’esecutivo. Visto che i parlamentari sono eletti dal popolo, poi, si potrebbe arrivare dire che a essere ignorato è proprio il controllo che i cittadini possono fare sulle scelte prese dai governi: sembra il più populista dei luoghi comuni e invece è il risultato della statistica elaborata da Palazzo Madama. E infatti solo un anno fa sia i senatori di Forza Italia che quelli del Movimento 5 Stelle avevano denunciato il mutismo del governo (in quel momento guidato da Renzi). “È una situazione inaudita e inaccettabile“, dicevano, guardandosi ovviamente bene dal depositare un’interrogazione sulla materia.
Ignorate interrogazioni bipartisan – “Continuando a non rispondere alle interrogazioni si rischia di incrinare l’efficacia degli istituti giuridici espressivi della potestà conoscitiva del Parlamento”, scrivono gli analisti del Senato. Che sottolineano come l’altro numero di atti non svolti o rimasti senza risposta accomuni tutte le tre legislature monitorate: da Romano Prodi a Silvio Berlusconi, passando per Monti e Renzi. Sono cambiati i governi ma non è cambiata il mutismo sulle interrogazioni. Tutte ignorate a prescindere dalla provenienza. “L’alto numero di atti non svolti o rimasti senza risposta prescinde dall’appartenenza dei presentatori a gruppi di maggioranza o di opposizione“, spiega il report dell’ufficio valutazione e impatto del Senato. Dagli esponenti del Movimento 5 Stelle (che attendono ancora risposta al 90% delle interpellanze presentate) a quelli del Pd (83% di interpellanze sospese) fino a Forza Italia (77%): l’ignavia dei governi confina nel medesimo limbo tutti gli atti parlamenti ai quali non riesce (o vuole) dare corso.
La risposta che arriva quattro anni dopo – E anche quando i governi rispondono gli atti dei parlamentari, riescono a farlo quasi sempre violando le regole. “I tempi di svolgimento – annotano sempre a Palazzo Madama – non sono quasi mai rispettosi dei termini previsti dal Regolamento (entro tre settimane dalla presentazione per le interrogazioni a risposta prioritaria ed entro sei settimane per quelle non prioritarie)”. Il quarto governo Berlusconi, per esempio, è titolare di un singolare record (uno dei tanti): 1.338 giorni separano la data di deposito di un’interrogazione dall’arrivo della sua risposta. Chissà se dopo quasi quattro anni il parlamentare ricordava ancora di aver posto quella questione al governo: molto probabilmente no. E dire che nella stessa legislatura (ma anche nella precedente) i ministri hanno dimostrato come sia possibile rispondere il giorno stesso in cui l’atto è stato presentato: cosa che accade normalmente nei cosiddetti Question Time.
Sono interrogazioni o comunicati stampa? – Come si risolve una situazione del genere, peraltro destinata ad aggravarsi ad ogni cambio di governo e a ogni legislatura? Come si trova una soluzione a un problema decennale mentre i deputati continuano a chiedere e i governi a non rispondere? I tecnici del Senato non hanno dubbi: bisogna cambiare le regole in modo da obbligare i ministri a considerare gli atti parlamentari. “I tempi di svolgimento – scrivono – non sono quasi mai rispettosi dei termini sia pure ordinatori previsti dal Regolamento, il che implica sia la necessità di individuare strumenti che vincolino il Governo ad un più puntuale rispetto degli obblighi di risposta sia un’articolazione dei lavori parlamentari più attenta alle esigenze di svolgimento degli atti ispettivi”. Ma non solo. Perché agli statistici di Palazzo Madama non sfugge un passaggio fondamentale: i parlamentari producono troppe interrogazioni. Al Senato negli ultimi due lustri si è andato al ritmo di 2.800 atti parlamentari all’anno: cioè più di 7 al giorno, tutti i giorni, compresi Natale, Pasqua e Ferragosto. La Camera riesce a fare addirittura peggio: negli ultimi 5 anni ha prodotto 7 mila interrogazioni e interpellanze ogni dodici mesi, cioè 19 al giorno. Non sarà per caso che qualcuno di questi documenti non sia poi così fondamentale? E che l’unico effetto prodotto da alcune interrogazioni sia solo uno spreco di carta, tempo e denaro? I tecnici del Senato concordano. “Non può eludersi il problema di una maggiore sensibilizzazione dei parlamentari, che devono essere dissuasi da utilizzi impropri degli atti ispettivi, quasi come surrogato di comunicati stampa“. Come dire: molte interrogazioni servono solo per dire di averle presentate, alla risposta non sono interessati neanche gli stessi parlamentari. Insomma il governo non risponde, ma alcune domande sono inutili.
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