I sociologi e gli storici a venire, fra cinquant’anni, riusciranno meglio di noi a spiegare quello che abbiamo visto ieri in piazza Indipendenza e tutto quello che sta succedendo negli ultimi anni, soprattutto nel mondo occidentale. Quello che è già oggi sotto gli occhi di tutti è che, in pochissimo tempo, noi che avevamo dato per scontato che l’acquisizione dei diritti umani fosse ormai stata incisa su pietra in maniera irrevocabile, che il nostro stesso modello occidentale non potesse mai più deviare dagli imperativi etici di rispetto e protezione degli esseri umani, proprio noi siamo quelli che hanno avuto il risveglio peggiore.

E in così pochi anni. Risale solamente al 2009 l’indignazione di pubblico e politica per i respingimenti in mare di migranti da parte dell’allora governo Berlusconi. Non solo Unhcr, Amnesty (che giovanotti che si candidano con noncuranza al governo del paese hanno vergognosamente chiamato “i taxisti del mare”), ma fu anche larga parte dell’opinione pubblica europea e la stessa Corte europea dei diritti umani a condannare l’Italia all’unanimità nel 2012 per aver violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani nel caso Hirsi, che riguardava 24 migranti respinti in Libia.

Ci furono giorni di prime pagine e proteste anche contro Sarkozy, che minacciava di chiudere la frontiera a Ventimiglia se l’Italia avesse continuato a far passare migranti tunisini (nel periodo turbolento delle primavere arabe) e che maltrattava i rom.

Tutti i partiti liberali, cattolici e progressisti, anche il Pd (ora come anestetizzato dal ministro Minniti), si opponevano giustamente alla politica dei respingimenti, rivendicando una differenza etica e politica rispetto al centrodestra di Berlusconi e Maroni. Nelle parole dell’ex ministro Giovanna Melandri, leggiamo che il modello del (vecchio) Pd era quello di un’Italia “multietnica, pluralista, libera […] in cui non conta il colore della pelle, la razza o la religione, ma piuttosto l’onestà e la sincerità del cuore”.

Forse quei partiti avrebbero dovuto aggiungere una postilla a queste belle frasi: “Finché non perdiamo consenso elettorale”.

Perché di questo oggi si tratta: non mi interessa discutere se il pugno durissimo di Minniti contro i migranti, che ha ri-orientato a destra la politica del Partito Democratico, sia una tattica usata con obiettivo Palazzo Chigi. Però fatto sta che quelle stesse forze politiche (Pd in primis) si sono messe in testa che portare avanti con coraggio le battaglie per il rispetto dei diritti umani, per la tutela dei rifugiati, per la dignità umana in generale, porterebbero a una sconfitta elettorale.

Niente più, niente meno. E questo atteggiamento politico è una risposta (terribilmente sbagliata) al fatto che ormai nella società civile sono stati sdoganati xenofobia, razzismo, omofobia, quasi con odio furioso e cieco, se diamo una letta ai commenti sui social contro le ong, per esempio. Richiami espliciti ai forni e alle camere a gas, dietro l’evergreen “prima gli italiani” (e poi prima i lombardi, poi prima i milanesi, poi prima quelli di via Monte Napoleone). Pochi denunciano gli atteggiamenti intolleranti, tranne l’Onu, né i media mainstream (che hanno coccolato per anni i vari Salvini “così telegenici”), né le istituzioni. Un silenzio colpevole che permette alla gente a Jesolo di incitare un migrante che tenta di suicidarsi. O a un gruppo di uomini di picchiare una donna incinta per farla abortire.

Quello che per me è invece molto meno ovvio è che questa rincorsa dei voti a destra possa davvero portare qualche risultato ad altri che non siano la destra, il M5S o la Lega. Una parte dell’elettorato tradizionale del centrosinistra è a disagio per gli atteggiamenti del governo, e diventa politicamente orfano, in un contesto nel quale il mondo progressista si perde a guardarsi l’ombelico e non riesce a emergere come alternativa attraente e convincente, perché forte delle sue convinzioni e proposte.

La sfida, per noi che i diritti ci rifiutiamo di scordarceli, è proprio questa: portare avanti un cantiere progressista che metta al centro il tentativo di ricreare consenso attorno a quei valori di accoglienza, rispetto, legalità e solidarietà a cui una parte dell’elettorato resta ancorata.

E per noi ambientalisti questi valori sono assolutamente inscindibili da quelli del rispetto della natura e dal rilancio del Green New Deal, la trasformazione ecologica del modello civile e sociale, come reale strada alternativa di crescita e lavoro al posto della crudele guerra fra poveri in atto.

Abbiamo uno spazio politico reale che aspetta di essere incoraggiato e mobilitato. Non si tratta solo di vincere le elezioni. Ma anche e soprattutto di fermare la deriva brutta, cattiva e senza soluzioni del Belpaese.

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