Loredana Puca, napoletana di 32 anni, dopo il phd a Parigi, si è trasferita negli Stati Uniti. E alla Cornell University lavora su un farmaco che colpisce in maniera selettiva il tumore neuroendocrino della prostata. "La ricerca medica è un lavoro globale. E all'estero ho capito quanto sia diverso il modo di lavorare rispetto all’Italia"
C’è chi trova la propria America in Italia e chi invece se la vuole andare a prendere oltreoceano. Loredana Puca, nata a Napoli 32 anni fa, rientra senza dubbio nella seconda categoria. Laureata in Biotecnologie Mediche all’Università Federico II, già durante gli anni dell’università ha deciso di trascorrere un periodo all’estero: “Durante la specialistica ho fatto l’Erasmus Placement in un centro di ricerca vicino Parigi – racconta -, un’esperienza che mi ha permesso di affacciarmi sull’Europa e di capire quanto fosse diverso il modo di lavorare rispetto all’Italia”. Così, una volta messa in tasca la laurea, ha deciso di riprovarci con la capitale francese: “Avevo mandato richieste per fare un dottorato in varie città europee – ricorda -, ma quando mi hanno chiamato da Parigi non ho avuto dubbi e sono ripartita”.
Quattro anni di lavoro e studio dedicati a un progetto di biologia di base, con l’obiettivo di capire come agiscono i meccanismi molecolari di proteine in una cellula umana: “Quell’esperienza mi ha dato una formazione tale che alla fine mi sentivo pronta a fare qualunque cosa”, ammette. Era tempo di andarsi a prendere il sogno americano: “Alla fine del phD ho capito che nemmeno l’Europa mi bastava – scherza -, e New York era la mia scommessa da vincere”.
Determinata a raggiungere la Grande Mela, Loredana inizia a mandare application in varie università per accedere al post-dottorato: “Ho fatto vari colloqui e sono andati tutti bene – racconta -, ma alla fine ho scelto la Cornell University”. Ed è qui che da tre anni sta lavorando su un farmaco che colpisce in maniera selettiva il tumore neuroendocrino della prostata, uno dei più aggressivi: “Il progetto è basato sull’utilizzo di una ‘smart bomb’, un farmaco specifico per questo tipo di cancro – spiega -, l’obiettivo è quello di andare a bersagliare solo le cellule malate, un approccio diverso dalla chemioterapia, che invece colpisce anche quelle sane”. Un lavoro supportato dallo sviluppo di modelli di organi in 3D: “Siamo ancora in una fase iniziale – sottolinea -, ma questo processo ci permette di verificare il livello di tollerabilità del farmaco sui vari pazienti”. I risultati raggiunti nel campo dell’oncologia le hanno permesso di ottenere un riconoscimento importante, il Conquer Cancer Foundation Merit Award, ricevuto pochi mesi fa a Chicago.
Un premio figlio dei sacrifici e della solitudine: “L’ambiente statunitense è estremamente competitivo, ci sono più persone che lavorano su materie simili e tu devi imparare a distinguerti – ammette -, senza contare che non ci sono orari e che passi interi giorni da solo, a tu per tu con la tua ricerca”. Ma Loredana ha fatto suoi anche i frenetici ritmi americani: “Sono da sempre innamorata di New York e per me è una fortuna vivere qui – sottolinea -, ma è un posto che deve piacerti, altrimenti finisci per esserne fagocitato”. Una città che viaggia sempre a duecento all’ora: “A volte passeggio e mi sembra di essere una dei protagonisti dei telefilm che vedevo in tv – ammette -, ma adoro il fatto che ci sia sempre qualcosa da fare, è un posto pieno di stimoli culturali”.
L’Italia è quasi un ricordo sbiadito: “Non credo che riuscirei a riabituarmi a ritmi lavorativi del nostro Paese e poi avrei paura di perdere tutta l’indipendenza che ho conquistato vivendo lontano da casa”, ammette. Dell’università italiana, però, conserva un bel ricordo: “A New York ho capito quanto sia alto il livello della nostra formazione – ammette -, se non avessi ricevuto una preparazione di questo tipo non avrei raggiunto questi risultati”. Ma aprirsi a un’esperienza all’estero è fondamentale: “La ricerca medica è un lavoro globale, quello che scopro qui può essere applicato in qualunque altro posto del pianeta – conclude -, è importante sapersi confrontare con altre culture e aprire la mente a tutto quello che c’è”.