Respira come se il dolore le portasse via l’aria, il dolore che brucia ossigeno: racconta e soffoca in gola il male dell’assenza del figlio, “Vittorio, ucciso a Gaza il 15 aprile 2011, a soli 36 anni, da un presunto gruppo di estremisti salafiti”, si legge sul sito Internet della fondazione dedicata al volontario e attivista. Due condanne all’ergastolo, non comminate in pena di morte per volontà della famiglia Arrigoni. Restare umani, nonostante tutto (nonostante la coerente assenza delle istituzioni italiane quando il corpo rientra in Italia).
Egidia Beretta parla del figlio al folto pubblico, parla col figlio. “Ho fatto il sindaco per dieci anni, ho sempre scelto un profilo molto basso, non ho mai voluto calare dall’alto della mia posizione una richiesta per denunciare alle autorità l’omicidio di mio figlio… chi di dovere può reperire tutto in rete, è tutto disponibile a patto che ne abbia la volontà. Io non ho mai inteso approfittarmi, in qualche modo, della mia posizione. Per esempio le scuole… ecco… non mi sono mai proposta, mi chiamano loro, le scuole e io vado, accetto di raccontare Vittorio perché me lo chiedono e lo faccio con piacere, anche se poi mi commuovo e soffro… e non vado a dire che Vittorio è un eroe, no! Un martire, sì, martire nel senso etimologico del termine: un testimone. Vittorio aveva il dono della parola e l’ha sempre usata per dare voce ai più deboli”.
E’ così che si smette di morire, raccontando, pronunciandone il nome, parlando di lui, dare un senso. La sala è gremita di giovani a cui trasmettere e adulti a cui insegnare. Vittorio ha scelto da che parte stare e ha sempre, sempre, scelto il più debole. Restando umano. Anche quando è stato l’unico presente nella Striscia di Gaza, testimone dell’operazione Piombo fuso o di come si condanna, impunemente, un popolo.
Qualcuno in sala racconta “Vittorio era con noi, ora è dentro di noi”: abbiamo una rotta, seguiamola. Egidia: “Vittorio era irrequieto, non concepiva l’indifferenza verso gli altri e questi altri Vittorio li andava a cercare. Aiutare gli altri lo faceva stare bene e certo questo lo faceva anche per se stesso, per una sua forma di egoismo, ma il suo egoismo era la voglia di aiutare il prossimo! Quando ci disse che voleva andare in Africa gli abbiamo detto VAI! E’ giusto! E’ giusto restituire un pezzetto di tutto quello che abbiamo rubato prima. Quando parlava dell’Africa, innamorato, ti diceva che l’Africa ti ingravida e tu vai in giro incinto di lei!!”.
Penso a chi non c’è più e a chi c’è ancora, ognuno con la sua storia, tenuti insieme da un’idea comune: i diritti umani. Penso a Ilaria Cucchi, alla mamma e al papà di Giulio Regeni, a Karim Franceschi, al mio maestro Carlo, a Vittorio Arrigoni e a tutte e tutti quelli che sono una buona ragione oggi per “restare umani”. Penso che Egidia sia una staffetta, con un messaggio da portare, esattamente come durante la Resistenza, solo che quella c’è già stata, questa è ora. Spalanchiamo le scuole, prepariamo il futuro, perché nulla più della testimonianza di questa madre sarà necessaria, in due parole: restiamo umani.
Grazie Egidia, grazie Vittorio.