Il primo ministro deve fronteggiare un flusso triplicato di immigrati irregolari che attraversa il confine con gli Stati Uniti e un’opinione pubblica, fomentata dai Conservatori, che ha deciso di ribellarsi agli oltre 11mila arrivi registrati nei primi mesi del 2017. Intanto, il Paese ha aumentato il numero di rimpatri rispetto all’anno precedente. Il timore è un riverbero del #WelcomeToCanada nelle urne
Justin Trudeau fa un passo indietro sulla politica delle porte aperte agli immigrati. Dopo il messaggio lanciato su Twitter a gennaio, con il quale dava il benvenuto in Canada a tutti coloro “in fuga da persecuzioni, terrore e guerra” in risposta al Muslim Ban promosso dal presidente americano Donald Trump, il primo ministro si trova oggi a fare i conti con un flusso triplicato di immigrati irregolari che attraversa il confine tra Stati Uniti e Canada e un’opinione pubblica, fomentata dai Conservatori, che ha deciso di ribellarsi agli oltre 11mila arrivi registrati nei primi mesi del 2017. Un vero rischio in vista delle elezioni del 2019.
“A tutte le persone in fuga da persecuzioni, terrore e guerra: i canadesi vi daranno il benvenuto, indipendentemente dalla vostra fede religiosa. La diversità è la nostra forza #WelcomeToCanada”, diceva il tweet del capo del governo canadese a inizio anno, offrendosi come alternativa alle politiche di chiusura volute dall’amministrazione americana. Parole che il primo ministro, a otto mesi di distanza, non smentisce, ma che cerca certamente di ammorbidire viste le conseguenze di tanto trasporto. “La nostra è una società aperta e accogliente”, ha premesso Trudeau durante l’ultimo incontro con la stampa a Montréal, ma ha poi aggiunto che “i criteri con i quali si giudica una richiesta di asilo non sono economici, ma basati sulla vulnerabilità della persona, la sua esposizione al rischio di violenze o uccisione. Nessuno trarrà vantaggio dall’entrata illegale nel Paese”.
Un ridimensionamento che vuol lanciare un messaggio a tutti gli immigrati stranieri negli Stati Uniti che pensano di spostarsi verso il vicino Paese, considerato più accogliente rispetto all’America di Donald Trump. Lo dicono i numeri: dall’inizio dell’anno, sono 11.300 le persone ce hanno attraversato il confine via terra verso il Canada. Questo flusso ha conosciuto un picco nei mesi di luglio e agosto, quando si sono registrati aumenti del 300%, con 7.000 migranti illegali entrati nel paese. Una media, nelle ultime settimane, di 250 persone al giorno. Numeri che hanno preoccupato l’amministrazione, soprattutto in vista del gennaio 2018, quando scadrà lo status di protezione temporanea, che probabilmente non verrà rinnovato dalla Casa Bianca, per i circa 60mila cittadini di Haiti rifugiati negli States dopo il terremoto del 2010. Stessa situazione degli immigrati provenienti da El Salvador, Nicaragua e Honduras che usufruiscono di una protezione umanitaria statunitense, anche quella in scadenza a gennaio 2018.
Il trend sembra confermare le preoccupazioni: secondo quanto riporta il Guardian, che cita fonti del governo canadese, l’85% delle persone entrate in Canada illegalmente via terra dagli Stati Uniti è di nazionalità haitiana. Il rischio espulsione dagli Stati Uniti potrebbe così dare inizio a un esodo verso nord che nemmeno l’accogliente governo di Ottawa riuscirebbe a gestire. Il sistema di accoglienza si trova già sotto pressione a causa dell’impennata di arrivi registrata nel 2017 e la Commissione canadese per Immigrazione e Rifugiati ha già descritto la situazione come “insostenibile”: molti dei migranti entrati illegalmente nel Paese non hanno avuto accesso alle strutture predisposte all’accoglienza e sono state quindi sistemate in due accampamenti temporanei lungo il confine e in un altro all’interno dello stadio di Montréal, in Québec.
Proprio lo stato francofono presenta una delle situazioni più delicate per il governo di Ottawa: 3.800 arrivi solo nelle prime due settimane di agosto, secondo le autorità. Lì dove i liberali sono riusciti, alle ultime elezioni del 2011, a registrare un record di consensi, oggi la popolazione inizia a protestare contro l’arrivo di migranti, la maggior parte di origine haitiana perché con gli abitanti del Québec condividono la lingua madre, il francese. Inoltre, secondo un indagine svolta per Reuters a maggio di quest’anno, circa la metà dei canadesi è favorevole all’espulsione degli immigrati arrivati irregolarmente nel Paese. Sentimento che il Partito Conservatore ha deciso di cavalcare in vista delle prossime elezioni federali 2019: “Il nostro sistema di accoglienza è nel caos – ha dichiarato la deputata conservatrice Michelle Rempel – Penso che questo dipenda soprattutto dai messaggi inconsistenti usciti dalla fabbrica comunicativa personale di Trudeau”.
Con le elezioni in vista, tra poco più di un anno, e i conservatori pronti a cavalcare i sentimenti di chiusura di una buona parte della popolazione, l’attuale amministrazione ha pensato così di correre ai ripari. “Anche noi abbiamo delle leggi”, ha cercato di spiegare il capo del governo. Intanto, il Paese ha aumentato il numero di rimpatri di immigrati illegali, prevalentemente centroamericani, rispetto all’anno precedente. Le espulsioni di messicani nei primi 8 mesi del 2017, ad esempio, hanno già fatto registrare un aumento del 66% rispetto al totale dell’anno precedente. Anche agli haitiani è toccata la stessa sorte: 474 espulsioni da gennaio ad agosto, contro le 100 dell’intero 2016. Se poi si allarga lo sguardo alla cifra totale, si vede che con i dati aggiornati al 22 agosto 2017 il numero di immigrati rimpatriati è di 5.529 nei primi 8 mesi dell’anno, contro i 7.357 dell’intero 2016.
Twitter: @GianniRosini