Una delibera dell'ex commissario Tronca ha individuato 74 stabili da sgomberare: il Campidoglio avrebbe dovuto assegnare a italiani sotto sfratto e rifugiati che li occupano nuovi alloggi, con un bando. Ma l'ex assessore Mazzillo ha firmato solo un "piano d'azione generale". La Pisana rivendica di aver stanziato 40 milioni, che la giunta Raggi deve sbloccare con una convenzione
Oltre 3.200 sfratti coatti l’anno nella Capitale a fronte di sole 200 case popolari assegnate nello stesso periodo. E un dettagliato elenco di 74 edifici occupati “da sgomberare” in cui secondo l’Unhcr vivono circa 3mila rifugiati politici: in questa lista sono evidenziati 16 stabili da sgomberare “urgentemente”, con 300-400 famiglie di tutte le nazionalità – anche italiane – che potrebbero ritrovarsi senza un tetto se davvero la prefettura procedesse a breve. Cosa tutt’altro che scontata. Ma resta il fatto che senza “bandi speciali”, graduatorie ad hoc e alloggi alternativi, ad oggi la città di Roma non è in grado di fronteggiare l’emergenza abitativa, se non per tamponare piccole e sporadiche situazioni. Una condizione che accomuna cittadini italiani e stranieri, compresi coloro che hanno ottenuto l’asilo politico nel nostro Paese. E’ italiana oltre metà delle 60 famiglie che dormono da giorni sotto i portici della centralissima piazza Santi Apostoli, proprio di fronte al palazzo della prefettura, cacciate il 10 agosto da un edificio ex Inps a Cinecittà. Così venerdì, dopo lo sgombero di 450 eritrei dall’edificio occupato in via Curtatone (nella lista dei 16), è iniziato lo scambio di accuse tra Comune e Regione. Con la giunta Raggi che accusa Zingaretti di non aver fatto il proprio dovere e la Pisana che ribatte di aver stanziato 40 milioni e incolpa il Campidoglio di non aver sottoscritto la convenzione necessaria per sbloccarli.
CON L’ADDIO AI RESIDENCE IL COMUNE RISPARMIA. MA MANCANO ALTERNATIVE – Il progressivo abbandono della dispendiosissima politica dei “residence” – strutture private affittate al Comune di Roma a prezzi stratosferici – se da un lato ha prodotto ingenti risparmi nelle casse capitoline (per ora 13 milioni l’anno) dall’altra ha sottratto agli amministratori la possibilità di utilizzare un bacino di alloggi per dare un tetto a chi esce da occupazioni abusive o subisce uno sfratto forzoso. Il problema è che nessuno ha fin qui sopperito a questa mancanza. L’utilizzo del buono casa (contributo all’affitto) da parte del Campidoglio è un modus operandi troppo articolato per essere esteso in tempi medio-brevi a chi non vive già nei residence. D’altra parte, sono fin qui andate deserte anche le gare del Comune di Roma per la gestione dei posti letto cosiddetti “extra Sprar”, dedicati ai rifugiati politici che hanno visto accettata la richiesta d’asilo e che non possono tornare nei centri d’accoglienza. E se le forze dell’ordine dovessero procedere nei prossimi mesi allo sgombero – come avvenuto a via Curtatone – anche solo di una parte degli edifici presenti nella lista delle “urgenze”, la Capitale si ritroverebbe virtualmente con centinaia (se non migliaia) di senza fissa dimora, italiani e stranieri, a cui non poter dare risposte. Con tutto il carico di tensioni sociali che ne conseguirebbe.
LA DELIBERA TRONCA E I BANDI MAI EFFETTUATI – La bomba a orologeria è innescata. Ad oggi nella Capitale vige ancora la delibera 50 del 2016 a firma dell’ex commissario straordinario di Roma Capitale, Francesco Paolo Tronca, che prende atto delle deliberazioni 3154 e 3155 della Regione Lazio e che fu redatta in seguito a un lungo braccio di ferro con l’allora prefetto di Roma, Franco Gabrielli. L’atto commissariale, come detto, contiene un elenco di 74 edifici occupati prima del 31 dicembre 2013, di cui 16 stabili (via Curtatone era in cima alla lista) da sgomberare “in via prioritaria” perché “pericolanti”, “gravati da sequestro preventivo” o “la cui occupazione comporta danni erariali”. In realtà, la delibera Tronca non è solo una mera agenda a beneficio della Questura, tutt’altro. L’atto prevedeva che il Comune procedesse ad “individuare ed assegnare gli alloggi ai nuclei familiari presenti (…) attraverso uno specifico bando speciale in conformità alla normativa di settore”, riservando loro una quota del 15% degli immobili disponibili. Insomma: gli sgomberi solo a soluzioni alternative e graduatorie già pronte. E’ a questo che si riferiva Gabrielli nell’intervista data venerdì a Repubblica, in cui chiedeva conto del “lavoro fatto insieme a Tronca”.
Peccato che il “bando speciale” non sia mai arrivato. Al momento, l’unico atto seguito alla 50/2016 di Tronca è una deliberazione della giunta Raggi del 25 luglio 2017, a firma dell’ormai ex assessore Andrea Mazzillo, contenente delle linee guida sull’emergenza abitativa nel suo complesso e un “piano d’azione generale” ancora preliminare, che non prevede nemmeno un capitolo ad hoc per i rifugiati. “Stiamo lavorando concretamente – spiega a IlFattoQuotidiano.it la presidente della commissione capitolina Politiche Sociali, Maria Agnese Catini – e abbiamo posto le basi per dare una risposta a 6mila famiglie nel giro di 3 anni. Ma abbiamo trovato una situazione disastrosa, con occupazioni mai censite e condizioni di fragilità estrema. E’ evidente che se nelle prossime settimane si dovesse procedere a ulteriori sgomberi di queste dimensioni, ci troveremmo in difficoltà. Tuttavia, se la prefettura provvedesse ad avvertirci non la sera prima riusciremmo ad organizzarci meglio, così come anche la Regione dovrebbe impegnarsi a mettere a disposizione degli alloggi, come prevedono le delibere del 2016: non si può pensare che basti stanziare dei soldi per scaricarsi la responsabilità”.
IL BRACCIO DI FERRO SUI SOLDI DELLA REGIONE – Ma con quali fondi Roma Capitale dovrebbe gestire l’uscita dalle occupazioni di queste persone e la ricollocazione delle famiglie in difficoltà? La Regione Lazio, nel marzo 2016, aveva individuato in 197 milioni di euro il valore totale dell’emergenza abitativa a Roma, proponendosi di destinare 764 alloggi Ater a questo scopo, di cui una percentuale di circa un terzo alle occupazioni “storiche”. Un’azione, quella dell’assessore regionale Fabio Refrigeri, che si è trascinata dietro molte polemiche, fra cui l’accusa di essere sceso a patti con i Movimenti di lotta per la casa o di voler creare un canale preferenziale in favore degli occupanti. Il clima politico ha dunque spinto la giunta Zingaretti a provare a rimediare quei soldi attraverso la vendita degli alloggi Ater, con gare andate due volte deserte. La soluzione tampone è stata trovata a maggio, attraverso lo stanziamento di 40 milioni di euro, 30 in favore del Comune di Roma e 10 destinati all’Ipab San Michele, istituto pubblico che si occupa di gestione del patrimonio. “Ma il Campidoglio non ha ancora firmato la convenzione – spiegano dalla Regione Lazio – e finora non ci sono stati contatti con il nuovo assessore (Rosalba Castiglione, nominata il 4 agosto al posto del dimissionario Andrea Mazzillo, ndr)”. “Le convenzioni si fanno insieme, non si impongono”, replicano fonti informali vicine a Mazzillo, che nel frattempo aveva trovato altri 35 milioni nelle more dei conti del Comune.
RIFUGIATI E PERSONE SOTTO SFRATTO: UNA BOMBA SOCIALE – Insomma: da una parte chi si occupa di ordine pubblico preme per una stretta, dall’altra gli enti locali non sono pronti a raccogliere i cocci e dare assistenza almeno a chi ne ha diritto. E senza dialogo, come accaduto per via Curtatone, il rischio è che ognuno vada avanti per la sua strada. Secondo i dati forniti dall’Unione Inquilini, ogni anno a Roma viene utilizzata la forza pubblica per eseguire 3.215 fra sfratti e sgomberi, “circa 10mila famiglie fuori casa in 10 anni”, sottolinea il segretario nazionale Massimo Pasquini. Come detto, sul territorio di Roma ci sono circa 3mila migranti che hanno già ottenuto lo status di rifugiato politico dal Governo italiano e che risiedono all’interno dei 74 stabili occupati, “di cui il 90% appartengono a enti pubblici di varia natura”, afferma ancora Pasquini. Un quadro che preoccupa non poco anche l’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che dopo la sgombero di via Curtatone ha commentato che “in 4 anni di occupazione è mancata una strategia concreta di intervento sociale ed abitativo, assente anche per le altre grandi occupazioni di rifugiati a Roma”. Infatti “le alternative proposte non avrebbero garantito una sistemazione a tutte le persone presenti e non erano accompagnate da garanzie per soluzioni credibili di lungo periodo”.