“Lo so, quella frase è infelice, presa da sola ha un sapore sinistro, ma bisogna contestualizzarla. Rispondevo a un agente che mi raccontava che lui e altri erano stati colpiti da sampietrini. Mi ha chiesto: e se questi ci tirano addosso qualcosa? Allora gli ho risposto in quel modo, ma bisogna trovarsi nella mischia, in mezzo alla bolgia, esposti a rappresaglie imprevedibili. Bisogna viverli quei momenti per comprendere di cosa stiamo parlando”. A parlare, per la prima volta, dopo gli sgomberi dei migranti di piazza Indipendenza a Roma è il funzionario finito in un’indagine interna della polizia dopo quella frase registrata da diverse telecamere: “Se tirano qualcosa spezzategli un braccio”. A riportare le sue parole – pronunciate con amici e colleghi – è Repubblica che descrive il dirigente “stanco, sotto pressione, preoccupato“. A maggior ragione dopo l’infortunio al corteo degli operai della Thyssen e altri precedenti non solo a Roma. “Non dovevo neppure essere lì – dice il funzionario, secondo quanto dice Repubblica – Ero libero da quel servizio, avevo terminato il mio turno, ma ho sentito dalla radio che i miei uomini in piazza Indipendenza erano in difficoltà e sono intervenuto”.
E’ la stessa tesi, dice Repubblica, sostenuta nella relazione di servizio consegnata al ministero dell’Interno. Secondo il quotidiano, l’esito più probabile sarà un trasferimento o un rallentamento della carriera di un dirigente che, a 52 anni, sembrava destinato almeno ad avvicinarsi alla nomina da questore. L’aria è cambiata nella polizia, soprattutto con la guida di Franco Gabrielli che un mese fa proprio a Repubblica aveva detto parole chiare anche sui fatti del G8.
Il Viminale aveva già difeso il funzionario di Roma una volta, indirettamente, con una relazione in Parlamento sugli incidenti con gli operai delle acciaierie di Terni, il cui corteo era aperto dai segretari dei metalmeccanici di Fiom e Fim, Maurizio Landini e Marco Bentivogli. In quell’occasione tuttavia furono richieste le dimissioni dello stesso ministro, che allora era Angelino Alfano. Così la difesa del capo del Viminale era anche personale: disse che il motivo della carica contro i sindacalisti era stata una normale reazione a un tentativo di deviazione del corteo. “Non sono un violento – ribadisce – Ho svolto con grande coscienza il mio lavoro, cerco sempre la mediazione, ma nella mischia ci stanno le parole in libertà così come capita di dover far ricorso alla forza per contrastare un attacco. È quello che si temeva in piazza l’altro giorno, quando un gruppo nutrito di manifestanti si è diretto verso la stazione. In quella situazione l’unico interesse era bloccarli, non potevamo rischiare che la protesta si propagasse. E pensare che non dovevo neppure essere lì, conterà pure qualcosa aver voluto condividere un momento di difficoltà dei propri uomini?”.
I colleghi lo difendono, racconta Repubblica: “Non ci stiamo a farlo passare per un fascista dal manganello facile, quella frase alimenta una distorsione mediatica”. E lui stesso, arrivato all’ordine pubblico, dopo trascorsi anche alla scientifica, lo ribadisce agli amici: “Ma davvero pensate che io possa ordinare di bastonare senza un perché?”. “Conosco il collega e so bene che non è un esaltato, è una persona mite, un professionista rigoroso e attento – dice Saturno Carbone, segretario generale del Siulp Cgil – Certe espressioni vengono fuori ma non hanno mai un senso letterale. Non è che espressioni come quelle possono essere interpretate come un via libera a picchiare, non scherziamo”.