Era l’agosto del 2011 quando le milizie di Misurata si accanirono con feroce violenza contro la comunità nera dei tawargha. La loro città, Tawargha appunto, era una delle basi delle forze fedeli al colonnello Gheddafi. I tawargha furono ritenuti tutti, in blocco, responsabili.

Seguirono arresti, torture, sparizioni e omicidi. Le case vennero date alle fiamme. Tawargha divenne una città fantasma.

Sei anni dopo, questa comunità di circa 40mila persone non può ancora tornare a casa: sparpagliati in tutta la Libia, i tawargha vivono in alloggi improvvisati e spesso in condizioni agghiaccianti. Due mesi fa, il 19 giugno, sembrava che un accordo tra i tawargha, le autorità di Misurata e il governo Serraj, avrebbe potuto avviare il ritorno in città in condizioni di sicurezza. Per inciso, quell’accordo non fa il minimo cenno alla giustizia per le terribili violenze subite dai tawargha nel 2011.

Ma comunque non è stato mai applicato e chi ha provato a tornare a casa ha dovuto rinunciare a colpi di minacce e intimidazioni. Il 22 giugno un convoglio di 35 automobili, che era stato autorizzato da un capo militare di Misurata a dirigersi verso Tawargha, è stato bloccato a un posto di blocco e costretto a invertire la direzione di marcia verso Tripoli.

Da allora, non ci hanno più riprovato.

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