La “firma con riserva” posta in calce a un atto è un obbrobrio giuridico. Eppure è l’ultima frontiera della legalità capitolina utilizzata per raggirare un centinaio di famiglie che vivono a Camping River e che, con quella firma, senza saperlo, hanno dichiarato il loro impegno a lasciare volontariamente l’insediamento il 30 settembre. Quella presentata a Camping River è una “polpetta avvelenata” che tanto ricorda quella somministrata alla comunità rom di Casilino 900 dal sindaco Alemanno.
L’ho letto negli occhi di Sevla, donna sola e analfabeta, madre di quattro figli, all’uscita dal gabbiotto del camping: “Alla fine ho firmato anch’io. Ma cosa ho firmato di preciso? Mi hanno detto: ‘firma con riserva’… boh!”.
Posto sulla via Tiberina, Camping River è uno dei sette “villaggi attrezzati” della Capitale dove, secondo un criterio rigorosamente etnico, sono concentrate dal 2006 circa 400 persone rom. Da quel giorno, il Comune ha speso più di 20 milioni di euro per la sua gestione. Dopo Mafia Capitale, l’Autorità nazionale anticorruzione punta la lente sull’insediamento ravvisando l’anomalia di un affidamento diretto prolungato. Il Campidoglio corre ai ripari presentando un bando per la creazione di un altro “villaggio” dove riallocare le cento famiglie di nazionalità rumena e bosniaca. Si scopre presto che il nuovo bando è stato scritto su misura per il vecchio gestore, con l’idea di lasciare le famiglie sul medesimo posto. L’Anac interviene di nuovo e chiede informazioni a riguardo. Negli uffici capitolini c’è agitazione.
Sono i giorni in cui Virginia Raggi presenta il nuovo Piano di chiusura dei campi rom a Roma. “Si inizierà da Barbuta e Monachina” viene dichiarato dalla sindaca lo scorso 31 maggio. Qualche settimana dopo la rettifica che toglie tutti dall’imbarazzo: con la delibera del 28 giugno la giunta Raggi decide che sarà il Camping River il primo campo ad essere superato in linea con il Piano rom.
Un Piano con il quale “supporteremo queste persone affinché trovino una casa normale”, riporta la Raggi sul blog del Movimento. “Da adesso si inizia a chiuderli per sempre – rincara la dose Beppe Grillo – E i soldi per farlo ce li facciamo dare dall’Unione europea, nessun costo per i romani. Un capolavoro”.
Nell’insediamento inizia il via vai di assessori municipali, tecnici del Comune, dirigenti, assistenti sociali. Il 4 luglio ad ogni famiglia viene fatto recapitare un messaggio secco: Camping River chiude il 30 settembre. Ma le cose non stanno come promesso. Chi è privo di mezzi non verrà aiutato per l’inserimento in “case normali”, ma all’acquisto di moduli abitativi. I soldi? Non sono dell’Unione europea, ma comunali. In cambio viene chiesto ai rom di sottoscrivere un Patto, assumendosi come primo impegno quello della fuoriuscita volontaria dall’insediamento.
Un mese dopo, a ogni famiglia viene consegnato il modulo di adesione. I rom replicano: “Come facciamo a sottoscriverlo se non sappiamo che tipo di contributo il Comune intende elargire per sostenere la fuoriuscita di quanti non sono in condizione di farlo? Perché il Comune parla di “moduli abitativi” e non di case”?. Lo ripetono a voce e lo scrivono in una lettera aperta. I giorni passano, nessuno risponde e nessuno firma. Il Campidoglio rischia la figuraccia su un Piano che dovrebbe rappresentare in Italia il modello di inclusione a 5 Stelle.
Ed ecco l’escamotage inventato: la “firma con riserva”. “E’ una firma che non è una firma – viene spiegato a Sevla. Voi firmate e poi si vedrà”. Piegate dalla pressione e abbagliate da promesse, le famiglie firmano senza alcuna consapevolezza.
La verità è che a Camping River si sta preparando il primo grande sgombero dell’autunno romano. Sgombero diverso da quello avvenuto in Piazza Indipendenza, volutamente diverso, senza agenti in sommossa e idranti. Sgombero con i guanti bianchi perché alla fine i rom hanno firmato. Con riserva, ma hanno firmato. Il Piano rom della Giunta Raggi inizia a presentarsi per quello che realmente è: un “Fake Plan” con una firma “con riserva” e, se va bene, una roulotte o un camper, acquistato con soldi comunali, per accamparsi sul primo marciapiede disponibile.
Tanto vale la firma di un povero analfabeta. Nulla. Quanto le promesse di un comico. Con una campagna elettorale all’orizzonte sarà questo lo stile dominante al quale dovremo farci il callo: risposte semplici e immediate davanti a problemi complessi e che richiedono tempi lunghi e mediazione. E in mezzo un mare di falsità.