Nella Capitale la proposta del ministro Minniti si scontra con la realtà: la maggior parte dei beni è ancora non assegnata perché l'agenzia nazionale che si occupa delle pratiche è sotto organico e fatica ad emettere bandi e trasmettere la gestione a comuni e regioni. Non solo. Molti appartamenti sono di grande metratura e di gran pregio: per renderli accessibili andrebbero fatti dei lavori, ma chi li pagherebbe?
Sul territorio del Comune di Roma sono 452 i beni immobili confiscati alla mafia e alla criminalità organizzata, fra villini, case, terreni, box e garage; di questi solo 66 sono effettivamente nella disponibilità del Campidoglio e appena una decina in gestione alla Regione Lazio. Di tutti, però, “solo 200 potrebbero essere utilizzabili per l’emergenza abitativa”, secondo quanto dichiara a ilfattoquotidiano.it Gianpiero Cioffredi, presidente dell’Osservatorio regionale del Lazio per la Sicurezza e la Legalità. Un patrimonio “limitato e difficile da gestire” che, anche utilizzato appieno “potrebbe dare alla causa un contributo importante ma non risolutivo”, tenendo conto che, secondo i dati Unhcr, ad oggi solo nei 74 palazzi occupati della Capitale vivono ben tremila rifugiati politici, suddivisi in almeno 500 nuclei familiari. Dopo lo sgombero dell’edificio di via Curtatone e le polemiche sull’assenza di soluzioni alternative per gli eritrei con asilo politico – che avevano occupato da oltre 4 anni – il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha proposto l’utilizzo delle case sequestrate alla malavita per arginare l’emergenza abitativa, specie se aggravata dallo sgombero di palazzi occupati da persone che hanno ottenuto l’asilo politico. Una proposta che, secondo indiscrezioni provenienti dal Campidoglio, avrebbe ottenuto l’approvazione e la disponibilità alla collaborazione da parte della sindaca di Roma, Virginia Raggi, ma che presenta diverse criticità.
ASSEGNAZIONI LENTE E BANDI LIMITATI
Il dato che salta subito all’occhio è la differenza numerica fra i beni effettivamente confiscati e quelli nella disponibilità degli enti locali, appena un terzo. Come mai? La risposta la fornisce ancora Cioffredi. “Purtroppo l’Anbsc, l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità – ci spiega – è sotto organico, come rilevato anche recentemente dalla Corte dei Conti, e fatica ad emettere bandi e trasmettere la gestione a comuni e regioni. Un tema annoso cui nessuno ha saputo fin qui ovviare”. Ma non è solo questo il problema. Roma Capitale, ad esempio, non si è ancora dotata di un regolamento che ne regoli la gestione: ai tempi di Ignazio Marino, ci stava lavorando l’ex assessore e magistrato Alfonso Sabella, prima che la sfiducia al chirurgo Dem interrompesse i lavori. Va detto che l’amministrazione M5S a Roma si è presa carico del problema sin dallo scorso inverno e, pur pressata da associazioni importanti con concessioni scadute, pare possa presentare a breve un testo in Assemblea Capitolina, “entro l’autunno”, secondo la presidente della Commissione capitolina Patrimonio, Valentina Vivarelli.
GLI IMMOBILI NON SONO TUTTI IDONEI
Fra quelli presenti nella lista dei 452 beni sequestrati presenti su Roma – ma anche fra i 1.170 presenti nel Lazio – non tutti gli immobili sono adeguati per entrare nel circuito dell’emergenza abitativa. Sempre secondo l’Osservatorio regionale, “circa la metà” sono appartamenti, villini o locali adibiti ad abitazione, “per lo più di pregio o comunque con entrata indipendente”. Molti di questi immobili residenziali hanno una metratura molto ampia e, a meno di procedere a costosi lavori divisori, spesso sembrano più adatti a diverse destinazioni. Ne è un esempio proprio la villa di via Roccabernarda, in zona Romanina, appartenuta a Giuseppe Casamonica, le cui chiavi martedì 5 verranno consegnate dalla Regione Lazio ai gestori di un centro per l’autismo. Spulciando la lista del Comune, tuttavia, se ne trovano altri piuttosto “dubbi”: un appartamento di 173 mq nella centralissima via dei Gracchi, uno di 152 mq in via Gravina di Puglia (Municipio VI), uno di 250 mq in via Cassia, addirittura un altro di 190 mq su via Tuscolana. “Sicuramente – continua ancora Cioffredi – l’idea di portare migranti e persone in emergenza abitativa in contesti residenziali consolidati permetterà di migliorare l’integrazione. Tuttavia, su molti di questi immobili andranno fatti quanto meno lavori di frazionamento, così da ospitare anche più famiglie”. Con quali soldi? “Quelli andranno necessariamente trovati, spero il ministero ci dia delle risposte”, chiosa il presidente.